Valentino Zeichen 

 

 

"Una vita per la poesia". 

 

 

Figura tra le più significative della generazione di autori che si sono messi in luce intorno alla metà degli anni ‘70, Zeichen ha ottenuto i consensi di poeti e storici della letteratura come Elio Pagliarani e Giulio Ferroni, ed è stato uno degli iniziatori dei reading, le pubbliche letture che hanno influenzato il modo di concepire e scrivere la nuova poesia italiana.

 

Nato a Fiume nel 1938, Zeichen si è stabilito a Roma a partire dagli anni Cinquanta. Ha viaggiato a lungo in Europa ed Africa e ha fatto diversi mestieri, realizzando collage e lavorando in gallerie d’arte. La sua prima raccolta poetica è del 1974 e si intitola Area di rigore. Un titolo che evoca la zona del campo di calcio dove i falli si rivelano fatali, e in cui poi si batte il calcio di rigore.

 

Ma la metafora sportiva rimanda a tutta una serie di situazioni pericolose in cui si è sottoposti a qualche giudizio, condanna, punizione, a ogni tipo di rigore carcerario o correzionale. È la poesia stessa a muoversi pericolosamente in un’area di rigore entro cui definisce figure e presenze prigioniere di qualche artificio. In questo spazio si danno lampi e illuminazioni.

Dopo Area di rigore, Zeichen pubblica con l’editore Guanda tre volumi nel volgere di un decennio: Ricreazione (1979); Pagine di gloria (1983); Museo interiore (1987). Se i suoi esordi rivelano influssi culturali ingombranti (Palazzeschi, Gozzano, Pagliarani), ben presto il poeta approda ad una sua personale cifra espressiva caratterizzata da uno spirito ironico e corrosivo. La versificazione risponde ad un ritmo narrativo dove il verso sconfina spesso nella prosa. Un discorso poetico - quello di Zeichen - che punta a smascherare i meccanismi omologanti della cultura, a smontare i modelli comportamentali di una società conformista e mediocre.

Il successivo volume di Zeichen, intitolato Gibilterra, è del 1991 ed è pubblicato da Mondadori. Da Gibilterra in poi la stilistica raffinata domina il linguaggio, lo modella e lo educa a un fluire piano e incisivo dentro una magica parvenza di vacuità. Uno dei fondamenti icastici di questo poeta è il considerare e dimostrare che la cultura come la storia sono gonfie scorie dell’umana follia, una vacuità del potere assurdo dell’uomo, che crede di trovare nel progresso la grande vittoria ignorando che sta andando invece verso la più clamorosa, colossale, apocalittica sconfitta.

 

Il linguaggio ironico di Zeichen è fatto di ambiguità e di analogie deliberanti al fine di produrre sbigottimento nell’animo del lettore perché prenda coscienza di trovarsi sbilanciato nell’ingorgo violento della realtà. Sotto l’ironia, sempre, si nasconde la tragedia o il dramma; non fa eccezione Zeichen, che mentre si prende gioco delle cose, dei gesti, degli uomini, della storia, prova una profonda amarezza e soffre di non poter porre un po’ di freno alla stupidità dei potenti e alla cecità degli individui.

“Da solo sto bene, ma in compagnia sto meglio - aveva dichiarato Valentino Zeichen in una recente intervista -. Ascolti, osservi, valuti e se capita, dialoghi. Oggi purtroppo la società letteraria non esiste più. È finita. E secondo me è tramontata per ambizione e per stupidità. Hollywood era la più grande concentrazione di intellighenzia d’America perché registi, scrittori, sceneggiatori e produttori si incontravano a cena e parlavano. In Italia non accade più. Qui ciascuno pensa individualmente di poter scrivere in segreto la propria storiella ed è un errore grande. Per creare, inventare e immaginare bisogna stare insieme…”.

 

Valentino Zeichen si è spento a Roma, il 5 luglio del 2016, all’età di 78 anni. 

 

6/7/2016