Pietro Germi
Al di qua e al di là della cinepresa ha lasciato, dal neorealismo alla commedia, pagine memorabili nella Storia del cinema italiano, meritandosi i più alti riconoscimenti in Europa e ad Hollywood.
Il III Municipio di Roma gli ha dedicato "Largo Pietro Germi" , nel quartiere Casal Boccone.
Pietro Germi nasce a Genova il 14 settembre del 1914. Fin da giovane si interessa di recitazione e trova il modo di frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Presso la prestigiosa scuola segue anche i corsi di Alessandro Blasetti, finendo per appassionarsi alla regia e per diventare aiuto-regista del suo professore.
Il suo esordio dietro la macchina da presa risale al 1945 con “Il testimone”, una delle prime pellicole prodotte, dopo la catastrofe della guerra, dal rinato sistema italiano. Nonostante la riconosciuta maestria tecnica, Germi rimane una voce isolata, anche perché è poco coinvolto dal dominante movimento neorealista. Nei suoi film preferisce di gran lunga ispirarsi al suo maestro Blasetti e al cinema classico hollywoodiano.
Fra i lavori di maggior successo in questo periodo troviamo “In nome della legge” (1949), dove lo scontro fra mafiosi e poliziotti in Sicilia ricorda il genere western, e “Il cammino della speranza” (1950), che nell’epica della migrazione dei siciliani verso nord riecheggia più Ford che il neorealismo. Per quest’ultimo ottiene l’Orso d’Argento al Festival di Berlino. “Il brigante di Tacca del Lupo” (1952), tratto da un romanzo di Riccardo Bacchelli, interpretato dal divo Amedeo Nazzari e sceneggiato tra l’altro da Fellini e Pinelli, è un altro grande successo di pubblico. Il film affronta per la prima volta le tematiche dell’Unità d’Italia e della lotta al brigantaggio in Lucania con occhio critico, senza nascondere la brutalità dell’occupazione piemontese e alludendo apertamente alle vicende appena trascorse della Seconda Guerra Mondiale.
Il suo rifiuto dei principi del neorealismo e la sua interpretazione storica, che spesso evitava l’analisi sociale per concentrarsi maggiormente sui contrasti psicologici fra i personaggi, lo portano a scontrarsi con la critica cinematografica, specialmente con quella di sinistra. “Il ferroviere” (1956), storia di un macchinista alcolizzato e “L’uomo di paglia” (1958), tragedia amorosa di un operaio romano, vengono duramente attaccati, particolarmente dal critico marxista Guido Aristarco che lo accusava di conservatorismo e populismo. Altri intellettuali di sinistra come Trombadori o Spriano presero le difese di Germi, sottolineando l’approvazione dei suoi lavori da parte del pubblico, particolarmente fra le classi meno abbienti.
Nel 1959, la riduzione del celebre romanzo di Gadda “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” con il titolo di “Un maledetto imbroglio” gli fa ottenere le pubbliche lodi di Pier Paolo Pasolini, oltre che quelle dell’autore del romanzo. Gli anni Sessanta sono il momento di massima creatività per Germi che, anche grazie al mutato clima sociale, può girare lo splendido “Divorzio all’italiana” (1961) con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli. Il film, che racconta le peripezie del barone Cefalù per liberarsi dalla brutta moglie uccidendola, è un successo al botteghino, costituisce un esempio classico di “Commedia all’italiana” e frutta un Oscar per la Sceneggiatura, due Golden Globe e un premio al Festival di Cannes. Ancora oggi “Divorzio all’italiana” e il successivo “Sedotta e abbandonata” (1963) sono amatissimi e vengono spesso riproposti in televisione. La trilogia che descrive la società italiana degli anni Sessanta, ancora a metà fra bigottismo, ipocrisia e ansia di modernità, viene completata nel 1965 da “Signore e signori”, ambientato questa volta nella provincia veneta, descritta in maniera altrettanto cinica e spietata, oltre che divertente.
La pellicola vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes, coronando in un certo senso la controversa carriera del regista, ancora spesso accusato di essere commerciale o semplicemente corrivo ai gusti del pubblico.
Negli anni seguenti, nonostante la salute declinante, Germi riesce ancora a conquistare trionfi al box-office con “Serafino” (1968) con Adriano Celentano e Ottavia Piccolo. Successivamente, dopo il flop di “Le castagne sono buone” (1970), curiosa parabola antimoderna con Gianni Morandi, gira l’interessante ma imperfetto “Alfredo Alfredo” (1972) con un giovanissimo Dustin Hoffman nella parte di un marito vessato dalla moglie. Subito dopo comincia a lavorare al progetto di “Amici miei”, ma deve abbandonare perché la sua malattia è ormai in uno stadio troppo avanzato.
Muore a Roma il 5 dicembre del 1974. “Amici miei”, girato nel 1975 da Mario Monicelli, si apre con una dedica al grande regista scomparso.