Paolo Borsellino
Storia di un magistrato
La mattina del 19 luglio 1992 Paolo Borsellino è a Villagrazia di Carini, località in cui la sua famiglia passa le vacanze nella casa al mare. Il magistrato decide però di rientrare a Palermo per fare visita alla madre, in via D’Amelio. È una strada perfetta per piazzare un'autobomba perché è senza uscita. Gli abitanti della zona avevano chiesto più volte che fossero presi dei provvedimenti, impauriti dall’arrivo delle auto blindate del magistrato e gli stessi uomini della scorta avevano fatto presente la situazione. Tuttavia nulla era stato fatto. Insieme a Paolo Borsellino muoiono gli agenti di scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cusina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.
Ma chi era il giudice Borsellino?
Paolo Borsellino era nato a Palermo il 19 gennaio del 1940. A 23 anni aveva vinto il concorso in magistratura ed era diventato il più giovane magistrato d’Italia. All'inizio si era occupato solo di cause civili, poi il passaggio al penale. A 39 anni il suo nome balza all’onore delle cronache: Borsellino compare sui giornali per un’inchiesta sui rapporti tra mafia e politica nella gestione degli appalti pubblici. È il 1980, l'anno in cui Cosa nostra cambia volto.
Nel 1980 inizia a collaborare con Rocco Chinnici, procuratore capo di Palermo. È un incontro importantissimo nella vita del magistrato. L’umanità, il rispetto reciproco e l'affiatamento sono le caratteristiche della straordinaria squadra di magistrati messa insieme da Chinnici: nasce il pool antimafia che adotta metodi nuovi e più efficaci. Chinnici ha l’intuizione giusta: indirizzare le indagini verso le attività finanziarie di Cosa nostra.
Il 30 aprile del 1982 vengono assassinati il deputato comunista Pio la Torre e il suo autista Rosario Di Salvo. Lo stesso giorno, il ministro degli Interni, Virgilio Rognoni, decide di passare al contrattacco, inviando a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Dalla Chiesa arriva la sera stessa dell’omicidio La Torre e solo dopo cento giorni sarà lui la nuova vittima: il 3 settembre del 1982 infatti la sua A112 viene crivellata a colpi di mitra e con lui perdono la vita la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. La scia di sangue è sempre più lunga. Prima di La Torre e Dalla Chiesa altri uomini sono caduti sulla strada della giustizia: Boris Giuliano, Gaetano Costa, Cesare Terranova e Emanuele Basile. Intanto a Roma il Parlamento approva la legge Rognoni-La Torre che istituisce il reato di associazione mafiosa e fornisce ai giudici gli strumenti per indagare sui conti bancari. Il 29 luglio 1983 a Palermo viene assassinato Rocco Chinnici. Borsellino e gli uomini del pool si sentono colpiti nel profondo e chiedono al Consiglio Superiore della Magistratura che venga mandato al posto di Chinnici un uomo che abbia profonda conoscenza del fenomeno mafioso. Così Antonino Caponnetto diventa il nuovo Consigliere istruttore di Palermo. Con Caponnetto arrivano i primi risultati eclatanti per il pool. La chiave di volta è Tommaso Buscetta. Viene arrestato nel 1984 in Brasile ed è Giovanni Falcone[1] a interrogarlo e convincerlo a rivelare nomi e fatti. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone possono istruire il più grande processo contro Cosa nostra. Il 10 febbraio del 1986 l’attenzione del Paese si concentra sull’aula bunker; da una parte ci sono gli uomini simbolo del pool, Falcone e Borsellino, dall’altra, dietro le sbarre, ci sono 475 imputati. Le rivelazioni di Buscetta hanno permesso di scoperchiare “la cupola”, il vertice di Cosa nostra. Il numero degli imputati è così elevato che è stato necessario costruire accanto al carcere dell’Ucciardone una costruzione collegata da corridoi interni alla prigione in modo che gli imputati siano trasferiti in massima sicurezza. Migliaia di carabinieri e poliziotti sono inviati a Palermo per l’occasione e la Corte giudicante è formata da un numero doppio di membri, perché si teme che qualcuno possa essere ucciso durante il processo. Il maxi processo si conclude il 16 dicembre del 1987 con sentenza della Corte di Assise che commina diciannove ergastoli a tutti i componenti della cupola e 2665 anni di carcere ad altri 339 imputati.
Cinque anni dopo la Cassazione confermerà la sentenza.
[1] 23 maggio 1992. Sono circa le 18 del 23 maggio 1992 e il giudice Giovanni Falcone, direttore degli affari penali del ministero di Grazia e Giustizia, è da poco atterrato all’aeroporto di Punta Raisi con la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato. La sua auto e quella della scorta si dirigono verso Palermo. All’altezza di Capaci una tremenda esplosione di 5 quintali di tritolo uccide il magistrato simbolo della lotta alla mafia, sua moglie Francesca e tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.