Marco Pantani: “il pirata”

 

 

Marco Pantani (1970-2004): il ritratto di un campione che ha fatto appassionare l’intero Paese alla bicicletta. Tanto tenace sulle salite dei passi di montagna, quanto fragile nella vita privata. 

 

Nato a Cesena il 13 gennaio del 1970, trovato morto il 14 febbraio del 2004 in una camera d’albergo vicino a Rimini, a una ventina di chilometri da casa sua, con cento grammi di cocaina in corpo.

Il cadavere sta disteso per terra, accanto al letto, nel caos di tutta la stanza. Non tutti credono ad un suicidio: non ci crede Pino Roncucci, il suo primo allenatore.

È l’ultimo grande mito del ciclismo, soprannominato “il pirata” per le sue prodezze in corsa, e soprattutto in salita. Un campione dallo sguardo sempre triste, che sarebbe vissuto solo 34 anni. Capace di vincere nello stesso anno il Giro d’Italia e il Tour de France, come prima di lui Fausto Coppi. Carattere forte, dunque, ma anche fragile, orgoglioso e sfortunato.

La data maledetta della sua vita è il 5 giugno del 1999, quando a Madonna di Campiglio, ormai quasi alla fine del Giro, ad un controllo della Federazione  Internazionale - che lui stesso considerava legittimo - gli viene riscontrato l’ematocrito troppo alto. Viene fermato, perché continuare la gara comporterebbe rischi per la sua salute. Il Giro è finito, per lui, che comincia ad essere sospettato di aver fatto ricorso al doping, nonostante le sue dichiarazioni di innocenza.

Il valore dell’ematocrito, per essere accettato dai controlli, non dovrebbe essere superiore al 50%. Più è alto, più c’è il sospetto del doping. Il suo è al 52%. “Ma è un esame ballerino” afferma Pantani, “perché il valore dell’ematocrito è condizionabile dallo stress, dallo stato d’animo, dalla disidratazione. Al doping non sono mai risultato positivo”.

Ma intanto, estromesso dal Giro, il corridore viene sospeso per quindici giorni. “Un episodio che è una ferita non fisica ma spirituale” - dirà il giornalista sportivo Gianni Mura - “che perciò non si è più rimarginata, perché il campione non è più riuscito a superare quella umiliazione”. Qualcuno dal pubblico gli grida dietro “Vai a casa, dopato!” Qualcuno dei suoi amici sparisce, e Pantani rimane solo a combattere.

È sempre più difficile trovarlo. Cresce il sospetto che sia stato intrappolato da fornitori di cocaina, che ora gli servirebbe a dimenticare, a stordirsi. Chi gli vuole bene capisce che Marco non tornerà più a correre, che si sta rovinando. La madre ricorda: “Noi due non parlavamo mai di cocaina, ma ormai era circondato dalla peggior specie di gente che esista sulla terra. Io lo convinsi ad entrare in clinica, ma il giorno dopo lo sapeva tutta la stampa”. La sua manager, Manuela Ronchi, ha interpretato così l’ultimo periodo del campione: “Prima era lui a dominare le montagne, ma poi si accorse che era la droga a dominare lui. Se avesse avuto vicino una donna che lo amasse, questo lo avrebbe aiutato; ma decideva sempre lui, tutto”. “È morto solo” ha dichiarato Diego Maradona, “abbiamo colpa tutti”.

Secondo il giudizio di Gianni Mura, in Marco Pantani c’era “qualcosa di mistico”. “Un giorno - ha ricordato il giornalista - ebbe un incidente alla catena della bicicletta”. “Ebbene, risalì in sella, rimontò settanta corridori che stavano avanti a lui e vinse. Forse semplicemente perché, come confessò una volta, “Vado più forte degli altri, in salita, per abbreviare la mia agonia”.