La vita di Giuseppe Mazzini (1805-1872): il ritratto di un personaggio seducente e carismatico. Giornalista e educatore di coscienze, politico e cospiratore autoritario, visse le sue idee con una dedizione religiosa, capace di catturare l’immaginazione dei suoi contemporanei. Ebbe un ruolo fondamentale nel diffondere l’ideale di unità nazionale, e contribuì alla sua realizzazione. La sua delusione per il fatto che l’Italia si fosse unificata come monarchia invece che come la repubblica dei suoi sogni, non modifica il dato oggettivo che lo vede tra i vincitori della Storia in qualità di “profeta del nazionalismo”. Riuscì a vedere Roma divenire capitale d’Italia nel 1870: un evento che concluse il periodo risorgimentale e la sua stessa missione politica.
Giuseppe Mazzini nacque a Genova il 22 giugno del 1805. Sul suo carattere e sulla sua formazione esercitò un forte influsso la madre Maria Drago, che lo educò al culto della vita intesa come missione e dovere.
Imprigionato come agitatore carbonaro nel 1830 fu processato e assolto per insufficienza di prove, ma si vide costretto a prendere la via dell’esilio per evitare il confino di polizia. Dopo l’insuccesso dei moti carbonari del 1831 ruppe con la Carboneria e fondò a Marsiglia la Giovine Italia. I primi tentativi mazziniani, del 1833 a Genova, Alessandria, Chambèry, e del 1834 in Savoia, tuttavia andarono falliti. Nel 1836, sotto il peso degli insuccessi, delle responsabilità e delle accuse che si levavano contro di lui, Mazzini fu colto da una gravissima crisi, la cosiddetta “tempesta del dubbio”, dalla quale però uscì più forte e determinato a proseguire la lotta.
Da Londra, dove si era rifugiato, riprese la sua opera di propaganda e di proselitismo, che fruttò nel ’43 un tentativo insurrezionale nelle Romagne, e nel ’44 l’infelice spedizione dei fratelli Bandiera, che finirono fucilati con alcuni compagni nel vallone di Rovito, nei pressi di Cosenza. Mazzini fu perciò abbandonato e sconfessato da molti dei suoi seguaci, che passarono al movimento moderato di Vincenzo Gioberti.
Gli eventi del ’48 parvero finalmente dargli ragione: era l’insurrezione, la guerra di popolo, quella che egli aveva “profetizzato”. Ma fu una breve illusione. Eppure il fallimento della guerra federale riproponeva drammaticamente l’alternativa democratica. Ed è allora che troviamo Mazzini a Roma, a capo della Repubblica del 1849, ad animare la disperata resistenza dei patrioti accorsi con Garibaldi da ogni parte d’Italia per difendere la “libertà romana”. Poi il Risorgimento parve passare nelle mani della diplomazia. E fu proprio Cavour che si servì abilmente dello spauracchio di Mazzini per indurre Napoleone III, imperatore dei francesi, ad entrare in guerra contro l’Austria a fianco del Piemonte.
Nel 1860 la vittoriosa impresa di Giuseppe Garibaldi e dei suoi “Mille” fece ancora auspicare a Mazzini una soluzione repubblicana e democratica del “problema italiano”. Ma l’incontro di Teano tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi frustrò anche questa sua ultima speranza. Riprese così la via dell’esilio in Svizzera e poi ancora a Londra.
Finì i suoi giorni da “esule in patria” - come fu detto - spengendosi a Pisa, sotto falso nome, il 10 marzo del 1872.