La nascita del cinema 

 

Parigi, Cinématographe Lumière, 28 dicembre 1895. Questi sono generalmente considerati il giorno e il luogo della nascita del cinema: una data che rappresenta una delle maggiori svolte tecnologiche e artistiche degli ultimi secoli.

 

In quel giorno di dicembre di fine Ottocento, i fratelli Auguste e Louis Lumière presentarono il primo programma cinematografico al Salon indien del Gran Café di Boulevard des Capucines.

Lo spettacolo era composto da una decina di brevi cortometraggi girati dai due fratelli parigini e con “L’innaffiatore innaffiato” e “L’arrivo del treno”, in quella sala parigina si scriveva la prima pagina della storia del cinema. La proiezione dei film fu accompagnata dal suono di un pianoforte, elemento musicale che ritornerà molto spesso nelle proiezioni del cinema muto per accompagnare le immagini.

È da specificare, però, che il tentativo fortunato dei Lumière non era stato il primo esempio di cinema - o cinematografo che dir si voglia - nella storia delle arti. Diretto “concorrente” di Auguste e Louis era infatti Edison, che nel 1888 aveva ideato il “kinetoscopio”, effettivamente creato poi nel 1892. L’apparecchio consisteva in una “cassa” con in cima un “oculare” attraverso cui guardare all’interno. Quando lo spettatore posava l’occhio sul vetro era sufficiente girare una manovella per azionare il film.

Il difetto principale che destina il kinetoscopio a soccombere al cinematografo riguarda l’ampiezza del pubblico: il kinetoscopio infatti permetteva la visione solo al singolo individuo, alzando notevolmente i costi nell’ipotesi di proiezioni di massa. L’ampio schermo del cinematografo permette invece che ad una singola rappresentazione possa assistere un pubblico di maggiori dimensioni.

La caratteristica principale del “cinema delle origini” è l’essere formato dalle “vedute” della durata di circa 50 secondi - la lunghezza stessa della pellicola -. I due fratelli volevano rappresentare scene “vere” e realistiche, in una sorta di cinema della realtà. La macchina da presa è fissa, non vi sono cambi di inquadratura né alcun accenno di montaggio e, tranne in qualche caso, di trama. In compenso, è ampiamente sfruttata la profondità di campo (elemento che sarà utilizzato moltissimo anche nel successivo cinema muto, basti pensare a film come “Cabiria” del 1914 o “Gli ultimi giorni di Pompei” del 1913).

Tra i corti più famosi del debutto dei fratelli di Parigi ci sono sicuramente “L’innaffiatore innaffiato” (“Le jardinier” o L’arroseur arrosé”) e “L’uscita degli operai dall’officina Lumière a Lione” (“La sortie de l’Usine Lumière à Lyon”), entrambi della durata di 40/45 secondi circa. “L’uscita degli operai…” è il primo film a essere presentato ed è quindi possibile classificarlo come il primo film proiettato nella storia del cinema.

Nonostante le parole dei Lumière, che volevano far passare alcuni corti come non preparati e assolutamente casuali, alcuni elementi indicano chiaramente una premeditazione delle riprese. La macchina, naturalmente fissa, riprende gli operai che escono dalla fabbrica senza ammassarsi, vestiti con abiti eleganti e decisamente non “da lavoro” ma tipici della Belle époque e all’uscita si dividono quasi in due ali, per uscire nel fuori campo senza rischiare di passare davanti alla macchina da presa, ostruendo momentaneamente l’obiettivo. Questi elementi fanno intuire che l’uscita degli operai è tutt’altro che spontanea e reale.

“L’innaffiatore innaffiato” è la sesta pellicola a venire presentata al Cinematografo e consiste in una comica, la prima con una trama e un’evidente preparazione. Si può notare l’utilizzo del fuori campo, in quanto riprende un ragazzino nell’atto di infastidire un giardiniere che sta innaffiando il giardino e cerca di acchiapparlo, finendo naturalmente bagnato lui stesso a causa degli scherzi del monello.

 

Uno dei corti più celebri dei Lumière è “L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat” (“L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat”), del 1895. Sebbene non fosse tra i 10 precursori del cinema proiettati alla serata inaugurale al Salon indien del Gran Café, è doveroso citarlo in quanto rimane un film che ha dato adito a numerose leggende e parodie. Di nuovo la macchina da presa è fissa e la profondità di campo è elevata. Nella pellicola si vede l’arrivo di una locomotiva che dal fondo attraversa tutto lo schermo, si ferma per far salire i passeggeri, per poi uscire nel fuori campo alla sinistra dello spettatore, con i personaggi sulla banchina che entrano ed escono di scena.

Sono note le leggende che raccontano di urla, svenimenti e fughe di massa alla proiezione di questo film, a causa del terrore degli spettatori di essere investiti dal treno in corsa. È comunque appurato che si tratta di leggende, soprattutto legate all’idea stereotipata dello spettatore ingenuo del cinema delle origini.

Una parodia dell’evento si trova nel film con Paolo Villaggio “Superfantozzi” (1986). Il rag. Fantozzi, al cinematografo a vedere proprio i film dei Lumière, rassicura la moglie terrorizzata dal treno dicendo che “è tutto finto, è una semplicissima illusione ottica”. Mentre il resto della sala si dà alla fuga, il treno lo investe in pieno, in una sorta di “punizione” per la sua visione smaliziata.