Il primo Parlamento italiano
Il 18 febbraio del 1861 - 160 anni fa - a Torino si riuniva il nuovo Parlamento dell’Italia unita.
Il 18 febbraio 1861, una Torino festante e tappezzata di tricolori accolse la prima seduta del Parlamento dell'Italia unita.
Completata l'unificazione geografica (mancava solo Roma) bisognava costruire da zero quella amministrativa, economica e sociale, scontrandosi con un clima di egoismi locali e di contestazione al nuovo assetto statale.
Tre mesi dopo l'annessione del Regno delle Due Sicilie furono bandite le elezioni per il Parlamento dell'ottava legislatura, in continuità con quello già esistente nel Regno sabaudo, regolamentato dallo Statuto Albertino del 1848. Quest'ultimo, infatti, prevedeva un sistema bicamerale composto da un Senato vitalizio di nomina regia e da una Camera dei deputati eletta a suffragio censitario maschile - che riconosceva il diritto di voto soltanto a coloro che avevano un certo livello di ricchezza, al contrario del suffragio universale che non fa distinzioni di alcun tipo -.
Ciò comportò che alle elezioni del 27 gennaio e del 3 febbraio 1861 furono chiamati al voto 418 mila cittadini maschi in rappresentanza di 22 milioni di italiani. Per via anche dell'astensione dei cattolici, invitati dal Papa a disertare le urne, alla fine votarono soltanto in 240 mila - l'1% del totale - le cui preferenze indicarono i 443 componenti della "camera bassa". Gran parte degli eletti apparteneva alla nobiltà (conti, baroni e via dicendo) agli ordini cavallereschi e alla borghesia delle professioni (avvocati, medici, ingegneri).
Tutto era stato organizzato affinché la prima seduta si tenesse verso la metà di febbraio nella capitale del Regno sabaudo. La sede fu individuata nel cortile di Palazzo Carignano (splendida residenza barocca di Casa Savoia), dove a tempo di record - all'incirca due mesi - fu realizzata un'aula semicircolare a forma di ferro di cavallo. Uno dei due progettisti, Amedeo Peyron, congegnò per ogni scranno un sistema di bottone-molla che permetteva a ogni deputato di chiamare gli uscieri.
Il gran giorno arrivò lunedì 18 febbraio. Un'aula gremita accolse al grido «Viva il re d'Italia» Vittorio Emanuele II, cui spettò l'onore del discorso inaugurale. Ai lati del trono i figli del sovrano Umberto Principe di Piemonte e Amedeo duca d’Aosta, e i diplomatici di altre nazioni europee. Il primo compito dell'assemblea fu di approvare la legge istitutiva del Regno d'Italia, promulgata il successivo 17 marzo e con la quale venne attribuito a Vittorio Emanuele II e ai suoi successori il titolo di "Re d'Italia".
L'assetto istituzionale del nuovo organismo era definito in base allo Statuto Albertino assunto come carta costituzionale dello Stato unitario. Secondo lo Statuto, il Re era il capo supremo dello Stato ed esercitava in via esclusiva il potere esecutivo, attraverso i ministri che nominava personalmente, e quello giudiziario affidato a giudici di nomina regia. Il potere legislativo era affidato al Sovrano e ai due rami del Parlamento, fermo restando che il primo aveva la facoltà di respingere qualsiasi legge approvata dal secondo.
Ciò era vero in teoria; nella prassi tuttavia si instaurò un rapporto di graduale fiducia tra Governo e Parlamento, al punto che la scelta dei ministri venne sempre più orientata dalle indicazioni dell'assemblea elettiva. Nei mesi successivi quest'ultima si trovò ad affrontare l'arduo compito di organizzare la vita amministrativa del Paese, riducendo al contempo le profonde differenze dal punto di vista economico, sociale e dei servizi scolastici e assistenziali.
Altra questione spinosa era il rapporto tra il Regno e la Chiesa di Roma, che trovò una prima sistemazione soltanto dieci anni dopo con la Legge delle Guarentigie (approvata il 13 maggio 1871). A complicare le cose fu l'improvvisa morte di Cavour, avvenuta il 6 giugno del 1861, che originò un clima di forte instabilità, con la successione di ben cinque governi in appena 4 anni.