Gli scioperi del 1944-45
La lotta per la libertà
La grande lotta nazionale e patriottica della Resistenza contro gli invasori nazisti si articola in una serie di settori, ognuno dei quali di importanza non trascurabile. Uno essenziale è quello della produzione, o meglio della lotta contro la produzione bellica nemica.
La “guerra moderna” è per definizione una “guerra di materiale” e la Germania nazista si sforza di mobilitare l’apparato produttivo dell’intera Europa per far fronte alle sue esigenze. Questo, e il carattere violentemente anti-operaio, in genere antipopolare, del nazifascismo, portano le masse operaie in prima linea. La lotta nelle fabbriche costituisce pertanto un capitolo non meno importante di quello della guerra partigiana. Essa ha le sue vittorie e deve piangere le sue vittime: viene combattuta in tutta l’Italia occupata, ma in nessun luogo tanto intensamente quanto a Torino.
Le sue principali tappe sono tre: nel marzo del 1944 si ha il grande sciopero nazionale che le stesse radio alleate salutano come il primo del genere che mai sia stato effettuato in un Paese occupato dai nazisti; nel giugno dello stesso anno si ha quello per la difesa delle macchine che si vuole smontare e trasportare in Germania; infine, il 18 aprile 1945 si ha lo sciopero torinese preinsurrezionale.
Le difficoltà sono estreme. Spesse volte gli organizzatori clandestini dei Partiti e del Comitato di Liberazione Nazionale devono vincere i comprensibili timori, le giustificabili ansie degli operai.
“Se non succede qualche cosa di grosso che scuota e incoraggi, la massa non è disponibile a scioperare e ad affrontare le inevitabili rappresaglie del tedesco”: così si esprime un dirigente clandestino agli inizi del 1944.
Ma può accadere che subito dopo, in altre officine, gli operai, indignati per i soprusi degli occupanti, entrino invece in sciopero isolatamente con grave rischio di essere schiacciati; e allora in mezzo a mille difficoltà bisogna correre ai ripari.
“Operai della SPA, il vostro gesto spontaneo di rivolta dimostra come le nostre condizioni di vita e di lavoro siano diventate insopportabili; dimostra il vostro alto spirito combattivo. Sostate per un momento e teniamoci pronti, il giorno della lotta generale è vicino”.
Sono parole di un manifestino, e le due citazioni mostrano in mezzo a quali difficoltà organizzative devono lavorare gli esponenti clandestini dei Partiti, oltre naturalmente al rischio continuo della vita.
Questi scioperi assumono di per sé un carattere di lotta patriottica per cui l’organo dirigente della Resistenza, il Comitato di Liberazione Nazionale, ne assume in pieno la responsabilità e la guida ideale. Gli scioperi sono preparati con un’azione minuziosa.
Citiamo alcuni manifestini: “Operai e operaie, tecnici e impiegati - dice uno di questi - fermate le macchine, chiudete i registri, manifestate fermamente la vostra decisione di non permettere il trasporto delle nostre industrie in Germania. Non un uomo, né una macchina in Germania!”.
E un altro manifestino: “Lavoratori italiani tutti: non uno diserti questa grande battaglia per il pane e la libertà dei lavoratori, per la pace della nostra Patria. Ognuno aiuti come può e quanto può. Non lasciatevi piegare da lusinghe né da minacce!”.
Questi manifestini vengono diffusi in preparazione di uno dei grandi scioperi patriottici, quello del marzo 1944. In occasione di esso che vede fermi, per ammissione dello stesso nemico, 100.000 operai torinesi, i partigiani, scendendo dalle montagne, intervengono in appoggio degli scioperanti fermando i treni, parlando agli operai sfollati che ascoltano così i primi liberi comizi dopo un ventennio di dittatura. La partecipazione a questi scioperi è totale: il fine è patriottico. Gli operai scendono tutti in lotta senza distinzione di parte politica e sapendo di rischiare spesso la vita.
Così, sfidando la rappresaglia e la deportazione, gli operai scioperano. E non solo nelle grandi aziende dove fino ad un certo punto il numero è forza ed è più facile sfidare in massa le minacce nemiche; ma anche nelle piccole fabbriche di 20, 30, 40 operai, dove si rischia la deportazione.
La violenza della repressione e le condizioni degli operai e di tutta la popolazione vanno peggiorando mano a mano che la crisi finale si avvicina.
“Torinesi! - proclama il 10 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale - considerata l’attuale situazione che va aggravandosi di giorno in giorno, considerati i pericoli che da ogni parte ci minacciano, il pericolo della fame e della più nera miseria, il pericolo di venir bombardati come Dresda, Amburgo e Berlino, perché in ogni angolo della nostra città si annidano e si fortificano truppe e comandi tedeschi, il pericolo che prima di ritirarsi da Torino i tedeschi e i fascisti facciano saltare tutte le nostre fabbriche, il Comitato di Liberazione vi rivolge il seguente appello: aderite in massa allo sciopero generale che il Comitato provinciale di agitazione sta preparando contro la fame e il terrore nazifascista”.
Si avvicina dunque la grande prova dello sciopero finale, che vede in azione non solo gli operai, ma i negozianti, gli insegnanti, i tramvieri, i ferrovieri, i professionisti, perfino i magistrati. Ma questa grande vittoria popolare, che annuncia e precede l’insurrezione che esplode una settimana dopo - il 25 aprile 1945 - viene pagata con il sangue di numerosi martiri.
Questo è stato il fronte della lotta operaia. Che esso abbia poderosamente contribuito alla vittoria delle Nazioni Unite e alla liberazione d’Italia lo provano, con il loro nudo linguaggio, le cifre.
Alla sola FIAT gli scioperi sottraggono 8.376.000 ore di lavoro alla produzione bellica che i nazisti tentano di imporvi. La produzione di autocarri finiti scende da 70 al giorno nel 1943 a meno di 10 al giorno nel 1945; la produzione di aeroplani, di motori di aviazione, scende a zero; quella di ruote per carri armati è inferiore del 95% alle esigenze tedesche.
Il sacrificio di sangue è grande: centinaia di operai vengono arrestati, fucilati, deportati nei campi tedeschi da dove non torneranno mai più. Abbiamo ricordato gli operai; ricordiamo anche un dirigente, l’ing. Fogagnolo. Arrestato in questa cieca, terribile lotta affronta serenamente il plotone di esecuzione. Le sue ultime parole rivolte alla moglie e ai figli sono le seguenti: “Sono sereno; il mio ultimo pensiero è per voi. Viva l’Italia”.