Il ritratto di Giovanni Gronchi (1887-1978): il terzo Presidente della Repubblica Italiana.
Il III Municipio di Roma gli ha intitolato un tratto del "Viadotto dei Presidenti".
Nato a Pontedera, in provincia di Pisa, il 10 ottobre del 1887, Giovanni Gronchi vive una giovinezza molto difficile a causa delle disagiate condizioni economiche della sua famiglia. Conseguita la licenza liceale viene ammesso alla Regia Scuola Normale Superiore di Pisa. Si laurea in Lettere nel 1909, e si dedica poi all’insegnamento.
Fin da giovanissimo frequenta gli ambienti cattolici, e nel 1902 entra a far parte del movimento democratico cristiano di Romolo Murri.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale è tra gli interventisti: parte volontario, rinunciando al possibile esonero in quanto orfano.
Alla fine della guerra partecipa alla fondazione del Partito Popolare Italiano. Nelle elezioni politiche del 1919 viene eletto deputato nella circoscrizione di Pisa. In Parlamento risultano immediatamente evidenti le sue brillanti qualità oratorie. Si guadagna così la stima e l’apprezzamento di don Luigi Sturzo, diventando una delle figure di maggior spicco all’interno del Partito Popolare.
Grazie alla costante attenzione dedicata ai problemi sociali e del lavoro, nel 1920 è eletto segretario generale della Confederazione italiana dei lavoratori.
Durante gli anni della crisi dello Stato liberale interviene più volte a Montecitorio contro le violenze fasciste e il 16 febbraio 1922 denuncia in Aula la passività del Governo, guidato da Luigi Facta, nella repressione del fenomeno squadrista.
Accetta l’incarico di sottosegretario all’Industria e commercio nel Governo presieduto da Mussolini nell’ottobre del 1922, ma solo qualche mese più tardi, al IV congresso del Partito Popolare, si schiera a fianco di Sturzo per l’immediata uscita dal Governo. Pochi giorni dopo è lo stesso Mussolini a dimissionare i membri del Governo provenienti dalle fila del Partito Popolare. Quando nel luglio dello stesso anno Sturzo è costretto a lasciare la segreteria del PPI, Gronchi fa parte insieme a Spataro e a Rodinò del triumvirato che reggerà il partito fino all’elezione di Alcide De Gasperi a nuovo segretario politico, nel maggio del 1924.
In Parlamento Gronchi affronta apertamente la maggioranza fascista, interviene contro la riforma elettorale preparata da Giacomo Acerbo e, dopo le elezioni del 1924, in cui viene confermato deputato, denuncia le intimidazioni fasciste nel corso delle consultazioni; quindi, all’indomani dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti - 10 giugno 1924 - partecipa alla secessione aventiniana.
Nel febbraio del 1926 torna all’impegno sindacale affiancando Achille Grandi e Giuseppe Rapelli nella guida della Confederazione italiana dei lavoratori.
Nel novembre del 1926 è dichiarato decaduto dal mandato parlamentare insieme agli altri deputati aventiniani. Privato anche della cattedra di insegnamento, Gronchi abbandona la politica e si trasferisce a Milano, dove avvia un’attività industriale e commerciale. Mantiene i contatti con un ristretto gruppo di amici mentre respinge con fermezza le richieste di collaborazione offerte dal fascismo.
Subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, riannoda in clandestinità i contatti con i popolari e collabora alla nascita della Democrazia Cristiana, concorrendo in particolare a definirne gli indirizzi programmatici in campo sociale e sindacale. Dopo l’8 settembre 1943 si trasferisce a Roma e diventa membro del Comitato di Liberazione Nazionale.
Si batte insieme ad Achille Grandi per valorizzare la presenza dei cattolici nel sindacato e, insieme ai principali esponenti del sindacalismo italiano, partecipa al dialogo unitario che culmina, il 3 giugno 1944, poche ore prima della liberazione della capitale da parte degli Alleati, nella firma del Patto di Roma. A Gronchi è affidata la presidenza del Comitato d’intesa sindacale, organismo di collegamento della corrente sindacale cattolica.
Nel I Governo Bonomi è nominato Ministro dell’Industria, commercio e lavoro, carica che ricopre anche nei successivi Governi Bonomi, Parri e nel I Governo De Gasperi.
Al I congresso della Democrazia Cristiana dell’aprile del 1946 presenta la mozione “Politica sociale”, in cui esprime una posizione nettamente favorevole alla Repubblica. e auspica una maggiore competitività nei confronti del Partito comunista.
Il 2 giugno 1946 è eletto deputato all’Assemblea Costituente: si dimette dal Governo e assume la carica di presidente del gruppo dei deputati democristiani.
Alle elezioni per il primo Parlamento repubblicano del 18 aprile 1948 Gronchi, capolista nel collegio di Pisa-Livorno-Lucca-Massa Carrara, viene eletto alla Camera dei Deputati. L’Assemblea di Montecitorio - nella seduta inaugurale della I legislatura (8 maggio 1948) -, lo elegge Presidente della Camera, carica che riveste dimostrando grande conoscenza del Regolamento e assicurando inflessibile equilibrio nella conduzione dei lavori parlamentari.
Tali doti risultano particolarmente evidenti in occasione dei dibattiti che impegnano l’Assemblea nel corso della I legislatura, come l’adesione dell’Italia al Patto atlantico nel 1949 e l’introduzione del premio di maggioranza alla legge per l’elezione della Camera dei Deputati, nel giugno del 1953.
Rieletto alla Camera nel 1953, nella seduta del 25 giugno viene riconfermato nella carica di Presidente della Camera.
Nonostante le ripetute prese di distanza dalle direttive dei vertici del partito, Gronchi ne rispetta le decisioni e al V congresso della DC a Napoli, nel 1954, pur in dissenso con i nuovi equilibri interni che vedono Amintore Fanfani segretario e Mario Scelba Presidente del Consiglio, rinuncia a presentare una propria lista per il Consiglio Nazionale.
In occasione del decimo anniversario della Liberazione pronuncia in Aula, il 22 aprile 1955, un discorso di altissimo livello civile e politico: per acclamazione si decide di affiggerne il testo negli albi di tutti i Comuni d’Italia.
Alla scadenza del mandato di Luigi Einaudi, la Democrazia Cristiana sceglie come candidato ufficiale alla Presidenza della Repubblica Cesare Merzagora, ma la minoranza del partito e le sinistre appoggiano la candidatura di Gronchi, che il 29 aprile 1955, al quarto scrutinio, viene eletto Presidente della Repubblica con 658 voti su 833 votanti.
Gronchi rivendica innanzitutto un ruolo autonomo e incisivo al Capo dello Stato. In occasione del giuramento sollecita le forze politiche a dare attuazione alla Costituzione, provvedendo all’istituzione della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della magistratura, del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e delle Regioni.
L’alternativa alla crisi della formula centrista va ricercata, secondo il Capo dello Stato, nell’apertura ai socialisti, ma la dirigenza della DC agisce con cautela e le forzature di Gronchi, come nel caso del Governo guidato da Tambroni nel 1960, finiscono per alienargli il consenso delle opposizioni di sinistra, che fino a quel momento avevano mostrato apprezzamento per la linea del Presidente.
In politica estera sviluppa una propria iniziativa, che lo porta spesso a distinguersi da quella del Governo.
Compie numerosi viaggi ufficiali all’estero: sostiene la necessità di sviluppare una politica autonoma dell’Italia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, anche a fini di approvvigionamento
energetico, e si dichiara favorevole al disarmo bilanciato delle due superpotenze.
Al termine del mandato presidenziale si iscrive, in qualità di senatore a vita, al gruppo misto, ma si allontana quasi del tutto dalla vita politica.
Nel 1977, in occasione del suo 90° compleanno, viene acclamato membro di diritto del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana. Muore a Roma il 17 ottobre del 1978.