Fausto Coppi
Il suo nome - insieme a quello di Gino Bartali (leggendaria la loro rivalità) - è indissolubilmente legato al periodo migliore del ciclismo italiano e mondiale, quando lo sport su due ruote riscuoteva un successo e un seguito che nel Terzo millennio è difficile soltanto immaginare.
Fausto Coppi nasce a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre del 1919.
I suoi genitori sono proprietari di un piccolo fondo con cui riescono a malapena a mantenere la famiglia. Fausto non ha nessuna intenzione di fare il contadino e a tredici anni si impiega come garzone in una salumeria di Novi Ligure. Nasce qui l'amore per la bicicletta. Fa la spola fra Novi e Castellania e viene segnalato a Biagio Cavanna, che gestisce una scuola di ciclismo e che gli insegna il “mestiere”.
Nel 1940, al suo esordio al Giro d'Italia, vince fra la sorpresa generale. Ha 21 anni, e poco dopo è chiamato sotto le armi. Il 7 novembre 1942 stabilisce il record mondiale dell'ora, 45. 798 km, che durerà fino al 1956.
Nel 1946, ingaggiato dalla Bianchi, vince la Milano-San Remo. L'anno dopo, il suo secondo Giro d'Italia. Inizia a guadagnare moltissimo. Ha le gambe lunghe e sottili, il torace ampio e lo sterno sporgente come un uccello. Sembra fatto apposta per completare la bici. Ma è soprattutto un eroe “accessibile”. Come ha scritto Gianni Brera: “Fa parte della razza dei contadini che diventano toreri, o ciclisti o pugili famosi senza mai riuscire a liberarsi da quel loro peccato originale, dai secoli di miseria e di umiliazione. Per questo l'Italia tifa per lui”.
E lui rivoluziona il sistema di preparazione del ciclismo agonistico. È attento ad ogni particolare, si allena con precisione e costanza e nel 1949 vince tutto: la Milano-San Remo, i giri di Romagna, del Veneto e di Lombardia, il campionato italiano su strada e quello mondiale d'inseguimento. Ma soprattutto compie una delle più clamorose imprese di tutti i tempi: l'accoppiata Tour de France e Giro d'Italia. Ed è allora che nasce spontaneo lo “storico” commento del radiocronista Mario Ferretti: “Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”.
Ripete la stessa impresa nel 1952, e nel 1953 vince il Giro d'Italia per la quinta e ultima volta. La sua carriera finisce qui, nell'Italia di Peppone e Don Camillo.
E mentre il Paese è scosso dall'affare Wilma Montesi, che vede notabili democristiani implicati nella morte della ragazza, Coppi lascia la moglie. Va a vivere con Giulia Occhini, “la dama bianca”, sposata con un medico e madre di due figli. In un'Italia disposta ad ammettere tradimenti e a perdonare, contro pentimento, le colpe commesse - purché sia salva la forma matrimoniale - l'opinione pubblica si divide.
Per alcuni Coppi è un mito. Altri gli preferiscono Bartali, il rivale di sempre, che, diversamente da lui, è cattolico ed è un buon padre di famiglia.
Ma per il “campionissimo” si avvicina un tragico epilogo. Il 10 dicembre 1959 parte per Ougadougou, nell'Alto Volta, dove partecipa ad alcune battute di caccia.
Morirà a Tortona meno di un mese dopo - il 2 gennaio del 1960 - per una febbre malarica non riconosciuta.