Eduardo De Filippo
La vita di Eduardo De Filippo (1900 - 1984). Il ritratto del più grande drammaturgo italiano del secondo Novecento. Annoverato tra i pochissimi ad essere rappresentato anche all'estero - sebbene con diverse scelte stilistiche e tematiche - ha raccolto idealmente l'eredità di Luigi Pirandello, da lui considerato "il Maestro".
Eduardo De Filippo nacque a Napoli il 24 maggio del 1900 da una famiglia di attori.
Il padre naturale era il famoso drammaturgo e attore napoletano Eduardo Scarpetta (1853-1925), perciò prese il cognome dalla madre, Luisa De Filippo. Esordì come attore giovanissimo, nel 1911. Fece poi parte della compagnia di riviste di Peppino Villani.
Nel 1926 esordì come autore con “Ho fatto il guaio? Riparerò”, portata in scena dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta, suo maestro. Nel 1929 passò nella compagnia di riviste Molinari, dove si riunì con il fratello Peppino e con la sorella Titina. Vi rimasero due anni, durante i quali Eduardo collaborò come autore di rivista e scrisse i suoi primi atti unici in dialetto napoletano, firmandoli con diversi pseudonimi. Nel 1931 i tre fratelli iniziarono la loro attività a Napoli e l’anno seguente costituirono la compagnia del Teatro umoristico “I De Filippo”, diretta da Eduardo.
Nel 1933 avvenne la prima fortunata tournée in giro per l’Italia. Dopo la guerra, Peppino lasciò la compagnia, rivelandosi soprattutto attore comico, e Eduardo continuò a scrivere e a recitare con un crescente successo: insieme alla sorella diede vita fino al 1953 al “Teatro di Eduardo”. Dal 1954 diresse la compagnia “La Scarpettiana”.
Diventato famoso anche oltre i confini dell’Italia, per la vivace e insieme dolente rappresentazione della vita popolare napoletana, ricevette la laurea honoris causa in Lettere dall’Università di Birmingham e di Roma e, nel 1981, fu nominato senatore a vita.
Morì a Roma il 31 ottobre del 1984.
Le sue commedie, raccolte nei volumi Teatro di Eduardo (Einaudi), risentono di numerosi stimoli che vanno dai canovacci della Commedia dell’arte di Eduardo Scarpetta al «teatro del grottesco» di Luigi Chiarelli e Luigi Pirandello. Eduardo ha seguito tuttavia un suo personale itinerario, conferendo dignità artistica e risonanza nazionale al teatro napoletano. Il successo del suo teatro è legato soprattutto alla capacità da lui dimostrata nell’interpretare le esigenze del mondo popolare - colto nel momento in cui incominciava a manifestare aspirazioni piccolo-borghesi - e nell’essere riuscito a stabilire con esso una partecipazione immediata. In virtù di questo orientamento, la famiglia, in quanto specchio della società e, soprattutto, sentita come luogo di comunicazione e di fiducia, è uno dei principali centri di interesse di Eduardo.
Tra i testi più famosi, “Natale in casa Cupiello”[1] (due atti nel 1931, poi ampliati in tre nella versione del 1943) è legato in parte alla tradizione farsesca dell’antica Commedia dell’Arte. Ma l’atmosfera, a mezzo tra il tragico e il comico, e i temi (la solitudine, la volontà dell’individuo di reagire all’indifferenza e al male, la sconfitta dell’uomo buono), indicano la vocazione umoristica di Eduardo e, nel contempo, anticipano l’amara riflessione sulla vita delle sue opere più mature.
[1] Il modesto tipografo Luca Cupiello, detto Lucariello, vive con la moglie Concetta, il figlio Tommasino, detto Nennillo, e un fratello, Pasquale. La famiglia non è serena: il figlio è scapestrato, vive di espedienti e deruba lo zio; la figlia Ninuccia non va d’accordo con il marito Nicolino e pensa di fuggire con l’amante Vittorio; la moglie cerca di nascondere al marito le grane familiari. Luca, che patisce silenziosamente la situazione, si rifugia nell’allestimento del Presepe, fiducioso che la bontà del Bambinello Gesù possa calarsi come per miracolo nell’indifferenza degli uomini e scacciare il male. Ma il Presepe è criticato dalla famiglia, disdegnato da Tommasino e infine rotto da Ninuccia in una crisi d’ira. Durante il pranzo natalizio, messa all’improvviso a fuoco la situazione familiare e compreso che la realtà è più drammatica di quanto si era immaginato, Luca è colto da malore. Il crollo fisico e psicologico che ne segue lo condurranno alla morte, ma gli conquisteranno l’amore sincero dei figli; Nennillo più di tutti comprende il dramma del padre e cambia comportamento. Per qualche istante Luca ritrova la serenità vedendo la famiglia affettuosamente unita intorno a lui: nel delirio scambia Vittorio per Nicola (il genero invece è partito), quindi chiede a Ninuccia e a Vittorio di giurare che non si lasceranno mai più, e muore guardando il Presepe. Ma il “miracolo” si è avverato solo nella sua mente.