Cefalonia
La storia della divisione Acqui si colloca nell'arco delle reazioni che furono provocate negli italiani dall'armistizio dell'8 settembre 1943, e dallo sfascio delle strutture militari e civili del Paese che ne seguì. È la storia della delusione del mancato ritorno a casa, di fronte alla quale molti italiani furono costretti a prendere coscienza delle possibilità dettate dalla nuova situazione. Così, a Cefalonia i soldati della Acqui furono consapevoli di una scelta chiara e difficile. Decisero di non cedere le armi ai tedeschi e di combattere. E di morire.
"Spezzeremo le reni alla Grecia!". Con queste parole, il 15 luglio del 1940 Benito Mussolini annuncia l'inizio della conquista della Grecia; ma di fronte ai disastri militari italiani, è necessario l'intervento della Wermacht tedesca. Alla fine le forze dell'Asse riescono a conquistare Atene.
L'isola greca di Cefalonia viene presidiata dalla divisione Acqui del comandante, il generale Gandin.
Il fronte della guerra è lontano. Fino al 1943 i soldati italiani non sparano un solo colpo di arma da fuoco. Gli abitanti dell'isola imparano a conoscere un nemico dal volto umano.
Ma di lì a poco le cose sarebbero cambiate.
Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini consegna le dimissioni e viene arrestato: a capo del governo viene nominato il maresciallo Pietro Badoglio.
L'8 settembre 1943 Badoglio legge alla radio italiana il comunicato con il quale annuncia l'armistizio con gli anglo-americani:
"Il Governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto l'armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane alleate. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza".
A Cefalonia non si hanno notizie fino alla sera dell'8 settembre 1943, quando arriva un primo comunicato da Atene, sede del comando misto italo-tedesco, da cui dipendono tutte le divisioni italiane in Grecia.
Il messaggio, firmato dal generale Vecchiarelli, conferma quasi alla lettera il proclama di armistizio, precisando che:
"Se tedeschi non faranno atti di violenza armata, italiani, non, dico non, rivolgeranno armi contro di loro, non, dico non, faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con forza a ogni violenza armata".
Nella serata del giorno 9, dal comando di Atene giunge un secondo comunicato del generale Vecchiarelli, dal tono disfattista e collaborazionista verso i tedeschi e palesemente in contrasto con quanto annunciato dal Governo Badoglio. A Gandin, come agli altri comandanti di divisione, infatti, viene dato l'ordine di cedere le armi collettive e di trasferire il controllo del territorio ai reparti tedeschi:
"Seguito mio ordine 02/25006 dell'8 corrente Alt. Presidi costieri devono rimanere attuali posizioni fino al cambio con reparti tedeschi non oltre però ore 10 giorno 10 Alt [...]. Pertanto una volta sostituite Grandi Unità si concentreranno in zone che mi riservo fissare unitamente a modalità trasferimento Alt. Siano lasciati ai reparti tedeschi subentranti armi collettive e tutte artiglierie con relativo munizionamento Alt [...]. Consegna armi collettive per tutte Forze Armate Italiane in Grecia avrà inizio a richiesta Comandi Tedeschi a partire da ore 12 di oggi. Generale Vecchiarelli".
L'ordine chiaramente è dettato dai tedeschi, che in poche ore hanno assunto il controllo del comando italiano in Grecia, mentre il senso di isolamento e di solitudine di fronte alla presenza ostile dei tedeschi si diffonde tra le divisioni italiane.
Gandin si rende conto che la situazione è drammatica; tra il 9 e l'11 settembre si svolgono estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Johannes Barge, che intanto fa affluire sull'isola nuove truppe.
L'11 settembre arriva l'ultimatum tedesco, con l'intimazione a deporre le armi.
All'alba del 13 settembre batterie italiane aprono il fuoco su due navi da sbarco cariche di tedeschi. Il tedesco Barge risponde con un ulteriore ultimatum, che contiene la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiede allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. In realtà l'ordine di resistere è arrivato dal comando supremo di Brindisi; ma Gandin vuole comunque verificare l'umore dei suoi soldati.
Il 15 settembre comincia la battaglia che si protrae fino al 22 settembre, con drastici interventi degli aerei Stukas che mitragliano e bombardano le truppe italiane. I nostri soldati si difendono con coraggio, ma non vi è scampo: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento.
L'Acqui si deve arrendere, la vendetta tedesca è spietata. Il Comando superiore tedesco ribadisce che "a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer".
La Wehrmacht a Cefalonia non farà prigionieri.
Il 24 settembre Gandin viene fucilato alla schiena; migliaia di soldati italiani con i loro ufficiali vengono sterminati dal tiro delle mitragliatrici.
L'impresa della divisione Acqui giunge così al suo epilogo.
Nel 2001, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha definito la "scelta consapevole" della Divisione Acqui come "il primo atto della Resistenza."