"I TEMPI": ATTUALITA'



Attualità  

 

La tragedia dell’Andrea Doria 

 

Alle 10.09 del 26 luglio 1956, al largo della costa nordamericana di Nantucket si inabissava l'Andrea Doria, vanto della Marina Mercantile italiana e mito della navigazione transatlantica. Dopo un'agonia durata undici ore lo scafo affondava a 75 metri di profondità, trascinandosi dietro la gloria delle navi che avevano fatto della traversata oceanica un vero orgoglio nazionale. 

 

Quando il transatlantico Andrea Doria, di proprietà della Società di Navigazione Italia, fu varato nei cantieri Ansaldo di Genova il 16 giugno del 1951, rappresentava un simbolo della rinascita del Paese, appena uscito dal Secondo conflitto mondiale con una flotta mercantile decimata dai bombardamenti e dagli affondamenti in battaglia. Assieme alla sua gemella Cristoforo Colombo, l'Andrea Doria sembrava designata come l'erede ideale del celebre Rex che nel 1933 aveva vinto il Nastro Azzurro: il record di velocità nella traversata dell'Oceano Atlantico. Il tragitto tra Europa ed America rimaneva ancora un banco di prova, una dimostrazione di eccellenza e per l'Italia significava il primo passo verso una rinascita economica che stentava ancora ad affermarsi. L'industria navale italiana si impegnò in uno sforzo considerevole: dalla costruzione dell'Andrea Doria dipendevano l'immagine dell'intera nazione e anche la sorte della sua ripresa economica.

La gigantesca nave (29.000 tonnellate per 212 metri di lunghezza) fu equipaggiata con attrezzature all'avanguardia, spinta da turbine a vapore capaci di portarla ad una velocità di 26 nodi, protetta attraverso undici compartimenti stagni e dotata di un radar avanzato, come raramente accadeva all'epoca per gli altri bastimenti, che avrebbe dovuto garantirne la sicurezza.

Ritenuta erroneamente la più grande e la più veloce tra le navi che solcavano l'Atlantico, era senza dubbio la più bella, la più lussuosa: impreziosita da ornamenti e fregi artistici di ogni tipo, suppellettili di grande valore, sale da ballo e da gioco, e da una piscina per ognuna delle tre classi di passeggeri. La classe turistica occupava oltre la metà dei posti disponibili (700 su 1.200) e si popolava di emigranti che si imbarcavano per cercare fortuna oltreoceano, ma senza i disagi che avevano abitualmente accompagnato i loro predecessori agli inizi del secolo.

Lo sfarzo non era riservato unicamente alla prima classe: i passeggeri potevano godere di un servizio, cucina compresa, di eccellente qualità. Inoltre, era stata preferita una rotta più meridionale e soleggiata, benché meno breve, del classico tragitto verso il Nord-America: l'Andrea Doria non si proponeva di fornire un semplice servizio di linea, ma una vera e propria esperienza di villeggiatura.

Durante il suo centounesimo viaggio lungo la 'rotta del sole' la nave si imbatté in un fitta nebbia al largo di Nantucket, proprio durante l'ultima notte prima dell'arrivo a New York. Anche se una rigida separazione tra le classi li ripartiva gerarchicamente in dieci ponti, tutti i passeggeri erano intenti a festeggiare l'imminente arrivo a destinazione. Il concerto dell'orchestra fu però bruscamente interrotto alle ore 23.10 da un boato: l'Andrea Doria era stata speronata.

La prua del transatlantico svedese Stockholm aveva sfondato la fiancata, penetrando per 12 metri tra le cabine di cinque ponti e distruggendo tutto ciò che incontrava; trascinata lungo tutto il lato destro continuò a produrre danni trasformando gli spaziosi corridoi dell'Andrea Doria in un dedalo di lamiere. In pochi minuti lo scafo si inclinò di 20° e il comandante Pietro Calamai realizzò immediatamente che si stava trattando di una situazione critica per la sua nave; nonostante ciò, decise di ritardare l'ordine di evacuazione per impedire che il panico gettasse i passeggeri e l'equipaggio nel caos, e si limitò in un primo momento a lanciare un SOS.

Fortunatamente, numerose navi risposero in breve tempo al messaggio di soccorso: la prima a sopraggiungere fu il transatlantico francese Ile de France, che aveva superato l'Andrea Doria poche ore prima e ritornò indietro a tutta velocità; successivamente arrivarono sul luogo del disastro i cargo Cape Ann e Wm. H. Thomas, e poi ancora la nave cisterna Robert E. Hopkins e il cacciatorpediniere Edward H. Allen. L'intervento tempestivo dei soccorsi fu una delle chiavi per il successo delle operazioni di salvataggio, che passarono alla storia per aver portato al sicuro la quasi totalità dei passeggeri: delle 1.706 persone a bordo dell'Andrea Doria, quarantasei persero la vita durante lo scontro (oltre alle cinque vittime dello Stockholm) e solo due durante il naufragio.

Infatti, l'eccessiva inclinazione dell'Andrea Doria aveva reso inutilizzabili le scialuppe e gli evacuati furono calati con delle corde per essere recuperati dalle lance inviate dalle altre navi, compresa la Stockholm. Bisogna comunque ammettere che le eccezionali qualità costruttive dell'Andrea Doria permisero che rimanesse a galla per ben undici ore, concedendo un tempo sufficiente ai soccorsi.

Inoltre, si rivelarono decisivi l'eroismo dell'equipaggio italiano e l'esperienza del comandante Calamai, che seppe assumersi decisioni di grande responsabilità in tempi rapidissimi e febbrili: solo quando all'alba i passeggeri erano ormai tutti in salvo, fu convinto con la forza dai suoi ufficiali ad abbandonare la nave. Non c'era più speranza: trascinata in acque meno profonde per agevolare gli accertamenti, l'Andrea Doria continuava inesorabilmente ad inclinarsi finché, alle ore 10.09 del 26 luglio, scomparve sotto le onde per affondare definitivamente.

 

Le indagini che cominciarono a New York per stabilire le cause e le colpe dell'incidente furono accompagnate subito dal grande clamore suscitato per l'importanza, il prestigio dell'Andrea Doria e dal risalto dato alla vicenda dalla stampa che l'aveva seguita in tutte le fasi.

Come fu possibile un tale disastro, tra due grandi navi in mare aperto? Al processo, che vedeva fronteggiarsi gli avvocati delle parti in causa, si affiancò di prepotenza un giudizio sommario dell'opinione pubblica nei confronti dell'equipaggio e soprattutto contro il comandante Calamai.

Infatti, i rappresentanti dello Stockholm si mostrarono decisi a negare l'evidenza, sostenendo che non vi era nebbia nel luogo dell'impatto, accusando l'Andrea Doria di non aver rispettato le procedure previste per la rilevazione e la correzione della rotta, e tacendo sull'inesperienza dei propri ufficiali al radar e al timone, che stavano oltretutto procedendo a velocità troppo elevata per la situazione di rischio.

A dispetto di queste premesse, gli armatori preferirono accordarsi e il processo si concluse in una conciliazione extragiudiziale: la Società Italia di Navigazione e la Swedish-American Line si impegnarono a risarcire le vittime e a provvedere al pagamento dei danni. Gli assicuratori delle due società di navigazione facevano capo alla medesima compagnia, i Lloyd di Londra, ed anziché insistere sul contenzioso trovarono un accomodamento che limitava le responsabilità e di conseguenza l'entità del risarcimento; in ballo vi era anche un'importante commissione che gli svedesi avevano affidato proprio ai Cantieri Ansaldo.

Per questi interessi economici si rinunciò a far piena luce sull'accaduto, tacendo sui difetti strutturali dell'Andrea Doria e sugli errori commessi dallo Stockholm, per finire così a scaricare implicitamente le colpe sulle spalle del comandante Calamai, stigmatizzandone la condotta tanto che non ottenne più incarichi e morì in disgrazia. Nonostante numerosi attestati di fiducia e di stima, le perizie che confermavano la sua versione e fugavano ogni dubbio arrivarono purtroppo postume.

 

In effetti, fin dai primi collaudi e durante il suo viaggio inaugurale, l'Andrea Doria aveva mostrato una preoccupante tendenza ad inclinarsi eccessivamente quando soggetta a consistenti forze laterali, ad esempio nell'urto contro onde oceaniche. La raccomandazione di riempire i serbatoi vuoti con acqua marina, zavorra funzionale alla stabilità dello scafo, rimase inascoltata all'epoca del disastro per guadagnare velocità: quasi esaurito il carburante perché ormai al termine del viaggio, questo difetto di progettazione contribuì enormemente ad accentuare l'entità del danno.

D'altra parte, un'inchiesta ministeriale italiana del 1957 era già arrivata ad accertare le responsabilità dell'equipaggio svedese, come è stato poi dimostrato dalle simulazioni condotte da John C. Carrothers e da Robert J. Meurn (capitano dell'Accademia della Marina Mercantile degli Stati Uniti): i dati del radar erano stati erroneamente interpretati, portando ad una valutazione sovrastimata delle distanze. L'ufficiale assegnato al radar fu indotto all'errore da una semplice manopola che mancava di adeguata retroilluminazione.

Durante i momenti che portarono all'incidente, al comando dello Stockholm, partito da New York il mattino del 25 luglio 1956 e diretto a Göteborg, era un inesperto terzo ufficiale anziché il comandante. Con una visibilità azzerata dalla nebbia e guidata solo dal radar, la nave svedese non aveva ridotto la propria velocità in via precauzionale come fu deciso invece a bordo dell'Andrea Doria. Le manovre di virata di entrambe le navi furono effettuate incrociando verso destra, in conformità a quanto disposto dal codice marittimo internazionale, ma rese inutili dalla fallace scala del radar sullo Stockholm: quando venne avvistato l'Andrea Doria, l'ordine di indietro tutta fu troppo tardivo per impedire la collisione, e la prua (rinforzata per seguire le rompighiaccio nelle gelide acque svedesi) andò ad impattare perpendicolarmente, cioè con il massimo danno.

Non erano normalmente previste comunicazioni via radio, il cui obbligo fu introdotto proprio in seguito al naufragio dell'Andrea Doria.

 

Le frequenti missioni di immersione e le esplorazioni con le sonde che si sono susseguite non hanno aiutato a capire la dinamica dell'incidente, ma hanno riportato alla luce una innumerevole quantità di reperti - tra cui la grande statua dell'Ammiraglio Andrea Doria, una campana, le preziose porcellane - e sono state anche al centro di una fin troppo clamorosa spettacolarizzazione - come per la spedizione di Peter Gimbell destinata a recuperare la cassaforte, rivelatasi una delusione -. 

26/7/2018


Attualità 

 

La strage di via D’Amelio 

 

Il 19 luglio del 1992 in via Mariano D’Amelio, a Palermo, veniva ucciso il giudice antimafia Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta. 

 

Domenica 19 luglio 1992 alle 16.58 una tremenda esplosione scuote l’intera città di Palermo. Arrivano i primi soccorsi in via D’Amelio e lo scenario è terrificante: un inferno di fiamme, morte e distruzione che divora i corpi ormai senza vita del giudice Paolo Borsellino, Procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo, e degli agenti di scorta (Claudio Traina, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Eddie Walter Cosina).

Un magistrato simbolo della lotta alla mafia dunque viene barbaramente ucciso davanti all’abitazione di sua madre, pochi mesi dopo l’assassinio dell’amico e collega Giovanni Falcone - nella strage di Capaci, il 23 maggio 1992 -.  

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19/7/2018


Attualità 

 

Come eravamo…poveri noi! Fortune e sfortune dell'Italia - e degli italiani -. 

 

Immagini di un tempo lontano, in cui la fortuna non ha ancora preso l’Italia sotto le sue ali: le macerie al limitare delle strade, i bambini del Sud che, per mangiare, imparano a rubare, le schedine della Sisal con le loro 30 lire di sogni, la gente assiepata ai bordi delle salite a vivere i duelli rusticani tra Bartali e Coppi. I genitori “severi ma giusti”, i fotoromanzi di “Sogno” e “Grand Hotel”, i calendari dei parrucchieri profumati di lavanda, i soprabiti ricavati dalle coperte americane. Le feste di paese con le lampadine sull’aia, i miti latini, le ultime “segnorine” e gli ultimi reduci straniti. E poi uomini e cose datate anteguerra e sopravvissute alla guerra: i vecchi contadini che danno del tu al vino, le mondine con i cappelloni di paglia e le canzoni nostalgiche della Bassa. La carrellata continua, fatta di tante piccole schegge sepolte nel tempo: il cavallo a dondolo, il monopattino, i giocattoli a carica, la retina notturna per i capelli, le fette di castagnaccio, calde, pesanti, avvolte in una carta marrone un po’ assorbente, la cucina economica, l’olio di ricino, la ghiacciaia con la stecca di ghiaccio ricoperta da un sacco di iuta, gli arrotini ambulanti, i rivenditori si scarpe usate.

Nel 1955 arriva “Lascia o raddoppia?”, un programma copiato dagli Stati Uniti e affidato al presentatore italo-americano Mike Bongiorno, amato dalle nonne e nemico giurato dei congiuntivi. Il quiz ha un successo strepitoso, il giovedì sera l’Italia si ferma, le strade si svuotano, i cinema restano deserti, sulle città scende il silenzio. Nei caffè si preparano i televisori su alti trespoli, ben visibili, così i clienti possono affollare i locali trasformati in sale da spettacolo. Mike distribuisce soldi ed emozioni, fioccano gli abbonamenti, i televisori si vendono a decine di migliaia. Nell’Italia dei poveri non c’è più solo il Totocalcio per fare denaro e sognare la felicità. La vita è divertente, l’ordine pubblico è assicurato, i treni viaggiano quasi in orario, i prezzi sono sotto controllo, circola molto denaro e qualcosa resta anche per le tasche più umili. Le occasioni sono ghiotte, le tentazioni molte: si fanno i fine settimana in campagna, si arriva all’automobile dopo essere passati per lo scooter, si cena al ristorante, il telefono non è più un lusso, gli elettrodomestici si fanno più sofisticati, le scarpe logore si buttano invece di risuolarle. I giovanotti si pavoneggiano sulle loro motociclette. L’Italia è ormai lanciata verso il futuro!

8/7/2018


Attualità 

 

Giorgio Ambrosoli: un eroe borghese.  

 

Un sistema di scatole cinesi per coprire operazioni occulte di denaro a danno dei creditori e dello Stato Italiano. È ciò che portò a galla l’avvocato milanese Giorgio Ambrosoli, ed è ciò che pagò con la vita.

Avvocato esperto in liquidazioni coatte amministrative, Giorgio Ambrosoli era nato a Milano il 17 ottobre del 1933. Nel 1974 il Governatore della Banca d’Italia Guido Carli lo nominò Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana. In questo ruolo Ambrosoli assunse la direzione della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano, Michele Sindona, aveva intessuto. 

Nel corso dell’analisi svolta emersero gravi irregolarità e numerose falsità nelle scritturazioni contabili. Contemporaneamente a questa opera di controllo, Ambrosoli cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione. Queste miravano sostanzialmente a ottenere che avallasse documenti comprovanti la buona fede di Sindona. Se si fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d’Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell’istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile. Ambrosoli non cedette, sapendo di correre notevoli rischi.

Ai tentativi di corruzione fecero presto seguito minacce esplicite. Malgrado ciò, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere. Nel corso dell’indagine emerse, inoltre, la responsabilità di Sindona anche nei confronti di un’altra banca, la statunitense Franklin National Bank, le cui condizioni economiche erano ancora più precarie. L’indagine dunque vide coinvolta non solo la magistratura italiana, ma anche l’FBI.

In un clima di tensione e di pressioni anche politiche molto forti, Ambrosoli concluse la sua inchiesta. Avrebbe infine dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale il 12 luglio 1979; ma la sera dell’11 luglio, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, venne assassinato. Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali, ad eccezione dei soli rappresentanti della Banca d’Italia.

Solo nel 1999 lo Stato gli ha conferito, in memoria del suo sacrificio e servizio, la Medaglia d’oro al valore civile con la seguente motivazione: “Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all’incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all’estremo sacrificio”.

Nel 2000, la giunta Albertini gli ha intitolato una piccola piazza di Milano, in zona Corso Vercelli. 

7/7/2018


Attualità 

 

Ivrea, città industriale del XX secolo, è diventata patrimonio mondiale dell’umanità. 

 

Il 1° luglio 2018, durante la riunione dell’apposito Comitato tenutosi a Manama, in Bahrein, Ivrea è stata iscritta dall’Unesco nella Lista dei siti Patrimonio mondiale dell’umanità. Ivrea dunque, in qualità di città ideale della rivoluzione industriale del ‘900, è il 54° sito italiano nella lista. Un prestigioso riconoscimento dedicato evidentemente alla concezione umanistica del lavoro del grande Adriano Olivetti. Una visionaria idea sociale e architettonica che, straordinariamente coniugata con gli innovativi processi di produzione industriale sapientemente messi in atto, ha reso le tappe della sua avventura biografica un esempio che va al di là del tempo in cui egli l’ha saputa porre in essere. Una storia, quella di Adriano Olivetti, ancora attuale; un’utopia che guarda al futuro di tutti noi.             

    

Adriano Olivetti nasce a Torino l’11 aprile del 1901 da padre di origine ebraica e da madre valdese. Suo padre Camillo, allievo di Galileo Ferraris, aveva fondato nel 1908 ad Ivrea, una piccola cittadina del Canavese, la 'Ing. C. Olivetti & C', prima fabbrica italiana di macchine per scrivere. Dopo la laurea in Ingegneria chimica al Politecnico di Torino, nel 1925 il giovane Olivetti trascorre sei mesi negli Stati Uniti, visitando le fabbriche americane e documentandosi a fondo sull'organizzazione del lavoro messa in pratica oltreoceano. Di ritorno dagli Usa inizia la propria esperienza professionale, come operaio, nella fabbrica paterna.

Nel 1932 Adriano assume la Direzione della fabbrica di Ivrea, di cui diventa poi Presidente nel 1938, subentrando al padre Camillo. Adriano si pone l'obiettivo di modernizzare la Olivetti, proponendo un vasto programma di progetti e di innovazioni, che comprende l'organizzazione decentrata del personale, la direzione per funzioni, la razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, lo sviluppo della rete commerciale in Italia e all'estero. Le novità da lui introdotte sono caratterizzate da un'attenta e sensibile gestione dei dipendenti, sempre considerati dal punto di vista umano prima che come risorse produttive.

Durante gli anni del regime Adriano, date le origini ebraiche della sua famiglia paterna, ha ripetutamente bisogno della certificazione di 'razza ariana' da parte della questura di Aosta, che nel 1931 apre un dossier su di lui. Anche dopo la caduta del fascismo i suoi rapporti con le autorità non migliorano. Viene infatti arrestato da Badoglio che lo accusa di metterlo in cattiva luce con gli americani, con i cui servizi segreti Adriano ha stretti rapporti. Tornato libero, dopo un periodo di clandestinità ripara in Svizzera, da dove tiene contatti con la Resistenza. Durante l'esilio (1944-1945) inoltre frequenta assiduamente Altiero Spinelli, teorico dell'unità europea, e completa la stesura del libro "L'ordine politico delle comunità", pubblicato alla fine del 1945. In esso vi sono espresse le idee che saranno poi alla base del Movimento Comunità, da lui fondato nel 1948 a Torino, sulla base di una serie di proposte tese a istituire nuovi equilibri politici, sociali, economici tra il potere centrale e le autonomie locali. La valle del Canavese sarà il luogo prescelto da Adriano Olivetti per realizzare il suo ideale comunitario.

Dopo la fine della guerra, di ritorno dall'esilio svizzero, guida la fabbrica di famiglia incrementandone sensibilmente i profitti, sperimentando quell'organizzazione del lavoro improntata sui principi di solidarietà sociale che renderà l'esperienza dell'Olivetti un caso unico nel panorama imprenditoriale dell'epoca. Adriano Olivetti si rivela sin da giovane un uomo dai poliedrici interessi: ama la storia, la filosofia, la letteratura, è attento alle avanguardie artistiche ed ha una passione particolare per l'urbanistica. Per Olivetti l'organizzazione del territorio e le caratteristiche architettoniche degli edifici hanno una grande importanza anche sotto il profilo sociale ed economico. A testimonianza della grande attenzione verso il rapporto fra impresa e territorio, nel 1937 partecipa agli studi per un piano regolatore della Valle d'Aosta. Nel 1938 aderisce all'Istituto Nazionale di Urbanistica, di cui nel 1948 entra a far parte del Consiglio Direttivo. Salito al vertice dell'Istituto, con l'appoggio di un gruppo di giovani architetti (tra cui Ludovico Quaroni), dal 1950 Adriano porta avanti il suo discorso sul primato politico dell'Urbanistica e della Pianificazione. Fa inoltre rinascere, finanziandola personalmente, la rivista "Urbanistica".

Nel 1953 Adriano Olivetti impianta a Pozzuoli una nuova fabbrica per la realizzazione di macchine calcolatrici. Un imprenditore che offre posti, assistenza, istruzione per i figli, oltre a salari maggiori della media, rappresenta una novità assoluta nel Mezzogiorno d'Italia e uno stimolo molto forte per i lavoratori, i cui risultati produttivi si rivelano ottimi, superiori persino a quelli raggiunti negli stabilimenti di Ivrea. La Olivetti diventa così il luogo del dialogo possibile tra nord e sud Italia.

La gamma dei prodotti viene continuamente ampliata e la capacità produttiva si espande per far fronte alle esigenze sempre maggiori del mercato nazionale e internazionale. Oltre agli stabilimenti di Pozzuoli entrano in funzione quelli di Agliè (Torino) nel 1955, di S. Bernardo di Ivrea nel 1956, della nuova ICO a Ivrea e di Caluso nel 1957. In Brasile, nel 1959, si inaugura il nuovo stabilimento di San Paolo. L'Olivetti degli anni Cinquanta è un'azienda florida e in forte espansione, con prodotti (calcolatrici e macchine da scrivere) noti in tutto il mondo.

L'azienda ha un punto di forza nelle sue capacità in campo meccanico, ma è del tutto estranea alle tecnologie elettroniche. È il grande intuito di Adriano Olivetti a indirizzare l'evoluzione dell'azienda dalla meccanica verso l'elettronica. In questa prospettiva si situano molte decisioni da lui prese. Già nel 1952 la Olivetti apre a New Canaan, negli USA, un laboratorio di ricerche sui calcolatori elettronici; nel 1955 viene creato il laboratorio elettronico di Pisa (che nel 1959 introdurrà sul mercato l'Elea 9003, il primo calcolatore elettronico italiano); nel 1957 Olivetti fonda la Società Generale Semiconduttori (SGS), per sviluppare autonomamente i transistor, dispositivi alla base delle nuove tecnologie elettroniche. Dopo essere stato acclamato sindaco di Ivrea nel 1956, nel 1958 si candida alle elezioni politiche con il Movimento Comunità, ottenendo due seggi in Parlamento. Il suo voto è determinante per la fiducia al primo governo di centrosinistra, il governo Fanfani. Non aderirà mai alla Confindustria.

Il successo imprenditoriale di Adriano Olivetti ottiene il riconoscimento della National Management Association di New York, che nel 1957 gli assegna un premio per "l'azione di avanguardia nel campo della direzione aziendale internazionale".

Anche davanti alla prima crisi di sovrapproduzione Adriano Olivetti prende una decisione controccorente: non chiude le fabbriche come tutti si sarebbero aspettati ma, al contrario, fa crescere la struttura commerciale, puntando in modo particolare sulla formazione dei venditori, figure professionali fino ad allora dequalificate, di cui Adriano Olivetti coglie invece l'importanza strategica.

Quando, improvvisamente, il 27 febbraio del 1960 una trombosi cerebrale lo stronca sul treno Milano-Losanna, Adriano Olivetti lascia un'azienda presente in tutti i maggiori mercati internazionali, con 36.000 dipendenti di cui circa la metà all'estero. 

2/7/2018


Attualità  

 

L'Italia del "boom": un Paese, una generazione, un grande "miracolo economico".

 

Un popolo di imprenditori, di inventori, di gente che con la propria fantasia e il proprio coraggio ce l'ha fatta. La cavalcata di una generazione che ha trasformato l'Italia in un paese moderno e industrializzato: dalle macerie dell’immediato dopoguerra al sogno del boom economico.  

 

La ricostruzione è alle spalle, comincia la crescita. Il Paese è in marcia, la miseria fa parte del passato, anche se il benessere è ancora lontano. Ci affacciamo sugli anni Cinquanta: l’impressione è che il peggio sia ormai superato e che l’Italia abbia ancora tante cose da dire. Il Paese si normalizza spinto dal desiderio di tranquillità e di ordine della gente.

Gli italiani lavorano a un ritmo che impressiona l’Europa. Il reddito nazionale passa da 6.189 miliardi nel 1947 a 9.906 nel 1951. La grande inflazione è un ricordo.

L’industria e la finanza si rafforzano. La Borsa, dopo un periodo oscuro, è in ripresa e assiste agli scontri tra Giulio Brusadelli e Giulio Riva: due “self-made men” che segnano un’epoca, imitati da molti.  

Sconfitto il Fronte popolare nelle elezioni del 18 aprile 1948, il potere della Dc è assoluto: si protende su enti, istituti, banche, commissioni, presidenze, consigli di amministrazione, forze armate, polizia, scuole, ospedali, società sportive. La stagione della lottizzazione è lontana, per ora chi comanda non spartisce con nessuno. E comanda con una certa competenza, il che, tutto sommato, è la cosa che conta di più. Con la vittoria democristiana cambiano molte cose. Cambia la politica italiana, che sarà per anni un monologo della Dc. Cambia lo spirito della maggioranza degli italiani, che si sentono più sollevati; si rafforzano la politica economica di Einaudi e la volontà dell’industria di investire. Salgono produzione, export, riserve valutarie, produttività. Si afferma, soprattutto, il principio della stabilità. E stabilità vuol dire tutto: vuol dire lavoro più facile, aiuti americani più robusti, maggiori capitali, minore disoccupazione. Le retribuzioni reali salgono, Vespe e Lambrette sfrecciano sulle strade.

L’Italia dunque si proietta nei “magnifici” anni Cinquanta, che scattano veloci. Leccatesi le ferite, il Paese comincia a sognare. E sogna anche attraverso i rotocalchi, con le loro favole, con i re sbattuti in prima pagina, con i personaggi positivi, baciati dalla fortuna, con i quali, nell’illusione, identificarsi. C’è voglia di divertirsi, di distrarsi, di lavorare e poi, la domenica, di pensare ad altro. La gente vuole vivere quieta, pretende un futuro senza traumi e senza sussulti, a rischio anche di avvolgersi nella tonaca sacerdotale della Dc. Questo stato d’animo gioca a favore di De Gasperi, che quel futuro glielo promette, e contro Togliatti e Nenni, che fanno paura per la ragione opposta.  

Sono gli anni in cui le colombe volano, il vecchio scarpone fa rivivere le vecchie illusioni, Coppi dà le ultime pedalate vittoriose, la TV ipnotizza gli italiani a gruppi di trenta per apparecchio televisivo - Mike Bongiorno toglie ogni complesso di inferiorità ad un Paese in cui l’analfabetismo non è ancora morto - . Sono gli anni in cui Grace Kelly, Liz Taylor, Esther Williams e Kim Novak, la “bionda incendiaria dalla faccia d’angelo”, si contendono le copertine dei nostri rotocalchi, gli anni in cui le torri di trivellazione lungo la via Emilia fanno sognare un’indipendenza energetica che non ci sarà. Gli anni di Marcello Mastroianni, Enrico Maria Salerno, Walter Chiari, di Raf Vallone, Rossano Brazzi, Maurizio Arena, Ugo Tognazzi, di Alberto Sordi, Giulio Ferzetti, Vittorio Gassman.

 

Il tempo passa, galoppa, compaiono i primi segni del boom economico: Carosello, la Seicento, la Giulietta Sprint, la seconda casa, le vendite a rate, le cambiali. Tra poco morirà Fausto Coppi, ucciso da una maledetta zanzara, le Olimpiadi trionferanno nel settembre romano del 1960, Anita Ekberg fellineggerà splendida, vitale e sensuale ne  “La dolce vita”

 

L'Italia del dopoguerra

29/6/2018


Attualità  

 

Diana Spencer 

 

Lady D: la “principessa triste”. 

 

Il 29 luglio del 1981 tutto il mondo segue in diretta le nozze di Carlo d’Inghilterra e Diana Spencer. È il matrimonio del secolo: lui ha 32 anni, lei 20 e piace per la sua semplicità. È stata maestra d’asilo e proviene da un’antica famiglia di nobili. Nata a Sandringham, sulla costa orientale dell'Inghilterra il 1° luglio del 1961, verrà ricordata dai sudditi di Sua Maestà e dall'opinione pubblica mondiale semplicemente come Lady D, amata per il suo profondo impegno nel sociale. Dà alla luce William ed Henry, ma ben presto il sogno di Lady Diana si infrange. La corte e la regina infatti le sono ostili e lei scopre molto presto che il cuore del marito appartiene ancora a Camilla Parker-Bowles, una fiamma di gioventù in realtà mai spenta. Il matrimonio con Carlo d’Inghilterra dunque non può che naufragare rapidamente, e per Diana sembra arrivare una seconda occasione: la relazione con Dodi Al Fayed (figlio del milionario egiziano ed ex proprietario dei magazzini Harrods).

Ma la notte del 31 agosto del 1997 Lady Diana e il suo nuovo compagno perdono la vita in un terribile incidente d’auto a Parigi. Usciti dall'Hotel Ritz, in Place Vendôme, la coppia si allontana sulla Mercedes S280, cercando di seminare i fotografi. Appena trascorsa la mezzanotte, imboccano a velocità sostenuta il tunnel sotto il Pont de l’Alma: un urto sul muro destro e poi la fine della corsa contro il tredicesimo pilone del ponte.

Lo schianto è fatale per Al-Fayed e l'autista Henri Pau che muoiono sul colpo; Diana, ancora in vita, viene trasportata al vicino ospedale di Pitiè-Salpêtrière, dove per le gravi lesioni interne spirerà due ore dopo. Unico superstite è Trevor Rees-Jones, guardia del corpo di Diana. La ricostruzione di quei tragici momenti rappresenta però un mistero che si tinge di giallo: la dinamica stessa dell’incidente, i soccorsi, i retroscena.

Sei giorni dopo, il 6 settembre, a Londra si svolgono i funerali secondo il protocollo reale, in mezzo a un fiume umano di circa 3 milioni di persone. Un evento senza precedenti, trasmesso dalle Tv di tutto il mondo, nel corso del quale Elthon John esegue una versione modificata della celebre Candle in the Wind.

Neanche la morte riesce a offuscare il mito di Lady D, la principessa amata dalla gente e impegnata in numerose attività solidali, in primis per i malati di Aids.

Sulle cause dell’incidente sono state avanzate le più disparate tesi complottistiche, che si sono scontrate con la verità dei fatti emersi dalle indagini. L’autista della Mercedes aveva nel sangue oltre 1,7 millilitri di alcol per litro, tre volte più della soglia tollerabile. Si scopre che prima di mettersi alla guida l’uomo ha consumato quattro cognac, associati a farmaci antidepressivi.

Inoltre, per diversi periti, lui, Diana e Dodi avrebbero avuto maggiori chance di salvarsi se avessero indossato le cinture di sicurezza. Chi le aveva allacciate, la guardia del corpo, risulta infatti l’unico superstite.

La tesi del complotto tuttavia non è tramontata, come ha dimostrato il sondaggio registrato nel 2006 dalla BBC, sul suo sito internet, dal quale è emerso che il 31% dei britannici era ancora convinto che non si fosse trattato di un incidente.

L'aspetto meno edificante infine è che il nome di Lady D sia diventato un business per molti. Nel marzo del 2013, dieci suoi vestiti (uno dei quali indossato durante la cena alla Casa Bianca) sono stati battuti all'asta, per un incasso complessivo di 800 mila sterline. 

 

Una statua per Diana Spencer

27/6/2018


Attualità  

 

38 anni fa, Ustica: un mistero italiano. 

 

La strage di Ustica - isola del Mar Tirreno, situata a nord delle coste palermitane, cui è dedicata una strada nel quartiere Montesacro di Roma -. Una tragica pagina di storia italiana che nel tempo - sono trascorsi 38 anni - si è tinta di giallo. Un nuovo film nel 2016 ha cercato di indagare i lati ancora oscuri della vicenda.  

 

Nella notte del 27 giugno 1980 un Dc-9 dell’Itavia in servizio da Bologna a Palermo precipita nelle acque del Tirreno al largo dell’isola di Ustica, a 70 km da Palermo. I morti, tra passeggeri e personale di bordo, sono 81. Depistaggi, false testimonianze e prove manomesse segnano le indagini. Solo nel 1999 il giudice istruttore del Tribunale di Roma, Rosario Priore, rinvia a giudizio alcuni alti ufficiali della nostra Aeronautica militare. L’istruttoria sostiene che nel cielo di Ustica vi fu una battaglia aerea e che un Mig libico si nascose sotto la pancia del Dc-9. Lo spostamento d’aria avrebbe provocato la frattura dell’aereo. Ma le perizie non smentiscono l’ipotesi di un’esplosione interna o di un cedimento strutturale.

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Ricomposto per le indagini in un hangar dell’aeroporto di Pratica di Mare, il relitto del DC 9 è oggi esposto al Museo per la Memoria di Ustica, istituito nel 2007 a Bologna.   

 

La pubblicistica sulla strage di Ustica è infinita: meriterebbe una bibliografia a parte. Interessante anche la filmografia. Su tutti “Il muro di gomma” (1991), diretto da Marco Risi, in larga parte basato sull’inchiesta del giornalista Andrea Purgatori.

L’ultimo ad occuparsene, in ordine cronologico, è stato il regista e produttore cinematografico Renzo Martinelli - che ha diretto film come “Porzus” sulle foibe (1997), “Vajont - La diga del disonore” (2001), e “Piazza delle cinque lune” sul caso Moro (2003) - che dopo oltre tre anni di intensa preparazione, attraverso lo studio e l’analisi dei documenti processuali e delle perizie, è tornato sul grande - e piccolo - schermo con “Ustica”. Un lungometraggio sceneggiato a quattro mani con lo storico e scrittore Valerio Massimo Manfredi, insieme al quale Martinelli ha intenso raccontare una nuova ipotesi su quanto accaduto quella tragica notte, alla ricerca della verità che i familiari delle vittime continuano disperatamente a  reclamare.

Le riprese hanno interessato alcune località della Toscana, della Basilicata, della Sicilia e Roma.

Il film, come ricorderete, è uscito nelle sale a fine marzo del 2016.

Si è letto che il regista desiderasse distribuire la pellicola contemporaneamente nelle scuole, per coinvolgere e “illuminare” i più giovani, spesso a digiuno di molta parte della storia recente del nostro Paese. Ma il progetto non sembra aver avuto seguito. Secondo quanto si apprende dalla stampa online, invece, il film recentemente è stato proiettato nelle biblioteche di alcuni Comuni del Lazio, nell’ambito della ormai nota e collaudatissima iniziativa “Cinema nelle Biblioteche”.    

27/6/2018



Attualità  

 

“Fantasmi a Roma”: i tempi passano ma i fantasmi restano! 

 

In questo caldo inizio d’estate, come tutti sapete, è facile imbattersi in una programmazione televisiva d’epoca - sempre meglio delle ennesime insopportabili repliche di stagione! -. È il caso del delizioso lungometraggio del 1961 “Fantasmi a Roma”, diretto da Antonio Pietrangeli e sceneggiato, a quattro mani, insieme a Ettore Scola, Ruggero Maccari ed Ennio Flaiano, trasmesso  e ri-trasmesso negli ultimi due giorni. (Per i cinefili è presente una versione integrale su You Tube). Un incredibile film d’altri tempi recitato magistralmente da un cast stellare composto, in ordine sparso, da campioni del calibro di Eduardo, Mastroianni, Gassman, Buazzelli, Gora, solo per citarne alcuni.

Sullo sfondo di una Roma sparita, le vicende dello squattrinato Principe di Roviano - interpretato dall’immenso Eduardo - subissato di proposte commerciali per indurlo a vendere il suo palazzo - abitato da simpatici fantasmi "appartenenti" a diversi periodi storici - sito nel cuore del centro storico della Capitale, raccontano sapientemente un’Italia in pieno boom economico imbevuta di speculazione edilizia, con tanto di collusioni e mazzette per ottenere i vari nulla osta necessari all’impresa. Un male da cui il Paese non si più riavuto.

Passato a miglior vita il principe - divenuto anch'egli fantasma! - è di tutt’altra idea il giovane erede - il mitico Mastroianni, nella pellicola già interprete di uno dei fantasmi -, chiamato a gestire le sorti del palazzo e legato, fortunatamente ancora per poco, ad una donna di spettacolo avida di denaro. Neanche la geniale trovata dei nostri cari fantasmi, rappresentata dalla realizzazione di un meraviglioso affresco, dipinto nelle soffitte tutto in una notte dal fantasma del pittore cinquecentesco Caparra - l’incontenibile Vittorio Gassman - al fine di rendere il palazzo un monumento nazionale e quindi non demolibile, riesce nell’intento salvifico.

Infatti, scoperta l’opera d’arte, per aggirare l’ostacolo vengono unte financo le giunture della perizia accademica ufficiale. Ma invano, perché l’errata attribuzione nientepopodimenoché al maestro Caravaggio, anziché all’offesissimo Caparra, produce proprio l’effetto insperato, ovvero la sospensione dei tanto temuti permessi di demolizione. Un lieto fine dunque, come è giusto e sacrosanto che sia, ma con un sottotesto, o un tra le righe - come preferite - chiaro e cristallino, che la dice lunga sulla storia politica e amministrativa del Caput mundi. Una storia che, come l’attualità amaramente ci insegna, non sembra avere nessuna intenzione di cambiare.            

 

21/6/2018 

[Alessandro Quinti]


Attualità 

 

Alois Alzheimer (1864-1915): la vita e le scoperte di un grande scienziato.  

 

Alois Alzheimer nacque il 14 giugno del 1864 a Markbreit, piccolo paese della Germania meridionale. Durante la carriera scolastica dimostrò qualità eccellenti e particolare propensione per le materie scientifiche. Studiò Medicina inizialmente presso l'università di Aschaffenburg, e in seguito a Berlino, Tubingen e Wurzburg. Si laureò brillantemente nel 1887, a soli 23 anni.

 

Venne quindi nominato assistente clinico presso l'Asilo di Stato Irrenanstalt di Francoforte, dove iniziò ad interessarsi e ad approfondire le ricerche sulla corteccia del cervello umano.

 

Agli inizi del XX secolo il nome di Alois Alzheimer assunse notorietà per le sue pubblicazioni sull'arteriosclerosi cerebrale. I suoi primi anni di carriera come professore di psicologia in Germania lo portarono a lavorare con il neurologo Franz Nissl. Insieme pubblicarono "Histologic and Histopathologic Studies of the Cerebral Cortex", un’opera in sei volumi.

 

In cerca di un luogo in cui unire la ricerca e la pratica clinica, Alzheimer divenne assistente ricercatore di Emil Kraepelin presso la Scuola di Medicina di Monaco: qui organizzò e diresse un nuovo laboratorio per la ricerca sul cervello. Nel tempo Alzheimer pubblicò molti articoli riguardanti le condizioni e le patologie del cervello, ma è del 1906 la pubblicazione che lo renderà famoso. In una donna di circa 50 anni, Alzheimer identificò una "malattia insolita della corteccia cerebrale", che aveva causato perdita di memoria, disorientamento e allucinazioni per arrivare infine alla morte.

 

Nel 1907, durante la Convenzione psichiatrica di Tubingen, presentò il caso di questa donna, sottolineando come, successivamente ad analisi post-mortem, il cervello mostrasse "una scarsità di cellule nella corteccia cerebrale e gruppi di filamenti localizzati tra le cellule nervose".

 

Nel 1910 Emil Kraepelin - il più famoso psichiatra di lingua tedesca dell'epoca - ripubblicò il suo trattato "Psichiatria", definendo al suo interno una nuova forma di demenza scoperta da Alois Alzheimer, chiamandola appunto "malattia di Alzheimer".

 

Risultò che nella caratterizzazione della malattia avesse avuto un ruolo chiave anche il giovane ricercatore italiano Gaetano Perusini (1879-1915).

 

Nel 1912, il re Wilhelm II di Prussia lo volle all'Università di Breslau (oggi Wroclaw, in Polonia) nominandolo professore di Psichiatria e direttore dell'Istituto Neurologico e Psichiatrico: ma Alzheimer si ammalò durante il viaggio in treno. Si trattò di una grave forma di sindrome influenzale, dalla quale non riuscì a riprendersi. Morì a Breslavia, in Polonia, il 19 dicembre del 1915, all’età di 51 anni.

 

La malattia o “morbo di Alzheimer” è oggi definito come quel "processo degenerativo che distrugge progressivamente le cellule cerebrali, rendendo a poco a poco l'individuo che ne è affetto incapace di una vita normale".

 

In Italia ne soffrono circa 600 mila persone, nel mondo 18 milioni, con una netta prevalenza di donne.

 

Allo stato attuale delle conoscenze non esiste una terapia in grado di prevenire o guarire la malattia, il cui decorso dura dagli 8 ai 10 anni. Intervenendo nella fase iniziale è tuttavia possibile agire su quei processi degenerativi che agiscono a livello cerebrale, in modo da rallentarne il decorso.

 

La patologia è dovuta ad una diffusa distruzione di neuroni, causata principalmente da una proteina chiamata betamiloide, che depositandosi tra i neuroni agisce come una sorta di collante, inglobando placche e grovigli "neurofibrillari".

La malattia è accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello, sostanza fondamentale per la memoria ma anche per le altre facoltà intellettive. La conseguenza di queste modificazioni cerebrali è l'impossibilità per il neurone di trasmettere gli impulsi nervosi

Il 21 settembre si celebra in tutto il mondo la Giornata dell'Alzheimer

 

 14/6/2018


Attualità 

 

1943: un anno lungo un secolo. 

 

Il 1943 stato è un anno lungo un secolo, con due date che ancora ci portiamo dentro: il 25 luglio e l’8 settembre, il crollo del fascismo e il crollo del Paese.

Un anno crudele perché segnato da tante croci; umiliante per la sconfitta militare e morale, drammatico per l’Italia che si spezzò in due e per i giovani, costretti a scegliere da che parte stare.

Furono giorni gravi, tragici, terribili, ma ricchi di forza e di vita. Fu un anno speciale, una dolorosa ma stimolante avventura.

Si scelse per convinzione, per disperazione, per comodo, per caso, per dispetto, si scelse perché si doveva scegliere, da una parte o dall’altra, in un’Italia spaccata in due. Scelsero soprattutto i giovani, con la loro voglia di vivere prepotente e avida, crudele ma vulnerabile, con l’idea che la vita sia comunque un’avventura che vale.

Tante cose, tutte in un anno, e in un soffio, un sospiro nel tempo.

Sono passati settantacinque anni.

Ma era poi davvero un mondo così profondamente diverso da quello di oggi? Un mondo di sangue, di morte, di viltà, di offese all’uomo, ma anche di speranze, di riscatti, di illusioni.

Una cronaca di vita e di costume, con una chiave di lettura: l’Italia profonda nella sua quotidianità. Allora come adesso.

Il “come eravamo” dunque: gli aspetti della vita di tutti i giorni, gli entusiasmi, i drammi, le paure, le ansie, i sacrifici, le certezze, le illusioni. Uno spaccato dell’Italia, con la guerra che passa come una vertigine su una generazione e la travolge, la schianta.

I grandi fatti bellici e politici restano sullo sfondo, quasi un pretesto per riscoprire cosa significò un anno che disperse le famiglie e rapinò il sonno della notte e la quiete dell’alba. Un anno che mise gli italiani gli uni contro gli altri e che costò la vita a tanti uomini, donne e bambini: povera gente che “ha fatto il ‘43” in silenzio e lo ha pagato terribilmente caro.

Un anno che ha ancora tanto da insegnare. Un anno da non dimenticare.   

 

13/6/2018 


La sede del III Municipio in Piazza Sempione, 15 - Roma
La sede del III Municipio in Piazza Sempione, 15 - Roma

Attualità 

 

Il voto del Terzo: cambiamento si, cambiamento no. 

 

Ci siamo. La campagna elettorale per il rinnovo del consiglio municipale - come sapete si voterà domenica 10 giugno - volge dunque al termine.

Abbiamo già avuto modo di considerare che quello che si avvicina a grandi passi è un voto importante per un territorio che deve ri-elevarsi ad antichi splendori culturali e sociali, senza dimenticare però le reali esigenze dei cittadini residenti, legate a filo doppio allo “scioglimento” dei tanti “nodi” che ne rendono estremamente complessa la gestione: dai rifiuti ai trasporti, dal decoro alla sicurezza, dalla cura dell’ambiente al commercio di quartiere.

Intanto, e questa sì che è una buona notizia, il governo nazionale finalmente c’è! Il Paese spera nel cambiamento tanto annunciato, e noi con esso. È il momento della collaborazione, del confronto costruttivo in funzione di quel “buon senso comune” di cui abbiamo già scritto. Principio valido anche in un territorio come quello del III Municipio di Roma, con dati di estensione e densità paragonabili a una città come Parma o Bologna, e con una eterogeneità di istanze dettata dalle fortissime differenze che lo contraddistinguono. Un territorio - che torniamo a ripetere - merita stabilità e soprattutto una progettualità che possa tornare a dipanarsi nella lunga durata. Prerequisito, quest’ultimo, indispensabile per il pieno raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Che vinca il migliore quindi: sicuramente il “buon senso comune”.  

 

5/6/2018 

[Alessandro Quinti]


Attualità

 

Un'estate al mare…in piscina! 
 

 

Durante i mesi estivi, per sfuggire ai “serpentoni” di auto che paralizzano le vie di comunicazione verso il litorale, soprattutto nel fine settimana, aumentano i romani che preferiscono rilassarsi nelle piscine cittadine piuttosto che sgomitare per “piazzare” l’asciugamano sulla spiaggia. Per loro sono numerose le vasche all’aperto, con soluzioni per tutte le tasche nei vari quartieri della Capitale. 

 

 

Ad esempio all’Arvalia di Portuense e al Circolo De Gregorio di Settecamini, con una piccola iscrizione e regolare biglietto, tutti i giorni ci si sdraia a filo d’acqua. Anche il Circolo Tennis Quattro (Nomentano) e lo Juventus Nuoto (Bravetta) non vanno in ferie, e ad Acilia il Consorzio Le Cupole scopre la splendida piscina di 33 metri.

Che dire poi della rinnovata Piscina delle Rose all’Eur: vasca da 50 metri, corsi di nuoto, acquagym e hydrobike.

I più mattutini possono andare al Tolive Sport Center, con apertura già alle 7 di mattina. Si accede con tessera e biglietto all’Isola Verde di Casal Palocco, dove è possibile organizzare feste, accedere ai campi di beach volley, ping pong e biliardino, mentre i gourmet possono optare per la piscina della Locanda Matteini, dove gustare la cucina romana.

E' boom di piscine anche alla Bufalotta: al New Green Hill, doppia vasca e prato con ombrelloni e lettini, al Circolo Valentini, oasi verde a via della Marcigliana, e all’As Sporting Nadir di Torrevecchia.

Il biglietto sale al Due Ponti Sporting Club, ma comprende anche l’accesso alla palestra e ai campi da tennis. C’è poi la vasca situata all’interno del Centro sportivo La Pisana - a pochi minuti di macchina dal Vaticano - che unisce sport e gastronomia: i tavoli dell’adiacente Locanda Matteini sono a bordo acqua. Si può sguazzare inoltre a Mondofitness e al Club Lanciani, dove si gioca pure a tennis, squash e calcetto. Morbidi lettini tra i Parioli e Flaminio al Belle Arti. Sulle vicine rive del Tevere ci sono il Csi  e la piscina olimpionica dell’Aquaniene (viale della Moschea).

Per un bagno panoramico si va sulle terrazze degli alberghi esclusivi. Domina la città da Monte Mario la piscina del Rome Cavalieri Waldorf Astoria, con tanto di vasca idromassaggio. Il costo del biglietto comprende lettino, ombrellone, materassino, ciabatte e asciugamano: frequenti i passaggi di camerieri con vassoi di frutta gelata. Vasca separata (e lontana dalla zona relax) per i bambini.

Atmosfera futurista sul tetto del Radisson Blu Es Hotel, con vista sull’archeologia industriale dell’Esquilino, dove si può prolungare la sosta rilassante in acqua fino all’aperitivo. Non sono panoramiche ma comunque di fascino le vasche del Grand Hotel Aldovrandi a Valle Giulia e quella del Grand Hotel Gianicolo.

Ci si sdraia anche al Centro Sportivo Le Mura, zona Mandrione, allo Sporting Club Ostiense e al Cus Roma, dove gli studenti universitari pagano meno.

Infine scivoli e giochi nei parchi acquatici: in città c’è Hydromania (Casale Lumbroso), a Pomezia Zoomarine con gli spettacoli di foche e delfini e a Guidonia il nuovo Aquapiper.

 

Di seguito indirizzi, recapiti e siti web:

 

Arvalia Nuoto - via dei Rinuccini 75 - Tel. 06.6555434 - www.arvalianuoto.it

Circolo De Gregorio - via Casal Bianco 192 - Tel. 06.4191989 - www.circolosportivo degregorio.com

Circolo Tennis Quattro - viale Rousseau 80 - tel. 06.82000198 - www.tennisquattro.it

Juventus Nuoto - via Bravetta 539 - tel. 06.66160985 - www.juventusnuoto.net

Consorzio Le Cupole - via Gino Bonichi 17, Acilia - Tel. 06.52362072 - www.lecupole.it

Piscina delle Rose - viale America 20 – Tel. 06.54220333 - www.piscinadellerose.it

Tolive Sport Center - via Aristide Leonori 8 -Tel. 06.5415467 - www.tolivesport.it

Isola Verde - via di Casal Palocco 89 - Tel. 392.0098982

Centro La Pisana-Locanda Matteini - via dei Matteini 35 - Tel. 06.89567796 - www.locandamatteini.com

New Green Hill - via della Bufalotta 663 - Tel. 06.8713 3810 - www.newgreenhill.it

Circolo Valentini - via della Marcigliana 597 - Tel. 06.87120207 - www.corcolovalentini.it

As Sporting Nadir - via Bonfiglio 62 - Tel. 06.3013340 - www.nadiras.it

Due Ponti Sporting Club - via dei Due Ponti 48 - Tel. 06.3339360 - www.dueponti.eu

Mondofitness - viale di tor di Quinto 55/57 - Tel. 06.33225155 - www.mondofitness-roma.com

Club Lanciani - via di Pietralata 135 - Tel. 06.41734829 - www.clublanciani.eu

Piscina Belle Arti - via Flaminia 158 - Tel. 06.3226529 - www.ctbellearti.it

Csi Centro sportivo italiano - Lungotevere Flaminio 55 - Tel. 06.3225129 - www.csiroma.com

Circolo Aquaniene - viale della Moschea 130 - Tel. 06.8084059 - www.acquaniene.it

Rome Cavalieri Waldorf Astoria - via Alberto Cadlolo 101 - Tel. 06.35091 - www.romacavalieri.it

Radisson Blu Es Hotel - via Filippo Turati 171 - Tel. 06.444841 - www.radissonblu.com/eshotel-rome

Aldovrandi - via Ulisse Aldovrandi 15 - Tel. 06.3223993 - www.aldrovandi.com

Grand Hotel Gianicolo - viale delle Mura Gianicolensi 107- Tel. 06.58335522 - www.grandhotelgianicolo.it

Centro Sportivo Le Mura - via Piegaro - Tel. 06.7803480 - www.lemura.altervista.org

Sporting Club Ostiense - via dei Cocchieri 1 - Tel. 06.5915540 - www.sportingclubostiense.it

Cus Roma - via delle Fornaci di Tor di Quinto 64
- Tel. 06.89027300 - www.cusroma.net

Hydromania - vicolo del Casale Lumbroso 200 -Tel. 06.6618 3183 - www.hydromania.it

Zoomarine - via Zara, Pomezia - Tel. 06915341 - www.zoomarine.it

Aquapiper - via Maremmana Inferiore km. 29.300, Guidonia - Tel. 0774.326538 - www.aquapiper.it  

 

Buona piscina - e buona estate - a tutti! 

3/6/2018 


Attualità 

 

Tutti a tavola: il Governo è servito!

 

“Habemus Governum”.

In seguito ai necessari interventi di “alta sartoria” per ricucire strappi e lacerazioni di vario ordine e grado, il nuovo Governo è quindi finalmente nato. Giusto in tempo per festeggiare in “souplesse” la Festa della Repubblica: la festa di tutti gli italiani.

E così, dopo foto, dichiarazioni alla stampa e giuramenti di rito - incluse le più che legittime concitazioni del caso - è già arrivato il momento di rimettersi a correre: il percorso è lungo e tortuoso. Del resto, come si suol dire, chi ha voluto la bicicletta, è bene che pedali!

Il Governo è servito dunque, e sul tavolo sono tante le macro-ricette da mangiare e "digerire". L’economia, le borse, l’occupazione, l’immigrazione, la sicurezza, i rapporti con l’Europa; e questo è solo il primo piatto. L’importante sarà riuscire ad assaggiare tutte le portate, dolce, caffè e ammazzacaffè compresi. È quello che auguriamo di cuore ai nuovi governanti. Essere cioè messi nelle migliori condizioni per lavorare con serietà e passione al “bene comune” della nostra cara e amata Italia. Un Paese, e una Storia, che guarda al futuro; un futuro su cui tornare ad investire con fiducia e ottimismo.       

Auguri a tutti noi!

 

2/6/2018 

                         [Alessandro Quinti]


Attualità

 

Governo si, governo no, governo forse. Rien ne va plus: fate il vostro Governo! 

 

Allora les jeux sont faits! O è ancora troppo presto per dirlo? Di sicuro saremo - finalmente - governati da un esecutivo politico e non tecnico. Un buon accordo, un buon contratto - come si dice oggi - che almeno nella "dicitura" si avvicina alla scelta che ognuno di noi, nel segreto della cabina elettorale, ha operato alle elezioni, "politiche" appunto, del 4 marzo scorso, ottemperando a quel diritto/dovere chiamato voto, per la cui libertà le generazioni passate tanto si sono battute.

Quindi governo sia, prima del sol leone di agosto, forse addirittura prima del voto - a proposito - amministrativo del 10 giugno. Perché siamo sinceri, di un buon governo abbiamo bisogno come il pane: per l’equilibrio psico-economico degli italiani e delle imprese in cui quest’ultimi lavorano o che creano, inventano e portano avanti giorno dopo giorno nonostante la crisi, nonostante la disoccupazione, nonostante la concorrenza dei mercati più agguerriti, spregiudicati o talvolta semplicemente più lungimiranti. Insomma, nonostante tutto. Per le donne - sempre maggiormente penalizzate e responsabilizzate dalla vita - e gli uomini di questa Italia forte e dignitosa, consapevole della propria prestigiosa Storia, ma conscia del fatto che solo scelte moderne e al passo con i tempi - che mutano ad ogni calar del sole - permetteranno al nostro Paese di continuare a camminare a testa alta nel consesso delle Nazioni.

Buon governo a tutti dunque. E che sia soprattutto portatore di stabilità, dialogo e pace.   

 

31/5/2018 

                         [Alessandro Quinti]


Attualità 

 

Il Giro d’Italia vs le buche di Roma: una gara senza vincitori. 

 

Anche questo 101esimo Giro d’Italia dunque si è concluso, non senza polemiche, forse in parte risparmiabili agli utenti, più o meno sportivi. Nel senso che, se è vero - e i cittadini romani sanno bene che è vero - che la condizione delle strade della Capitale - dal centro alla periferia - rappresenta una indubbia e crescente criticità, è pur vero che soffiare sul fuoco delle facili discussioni legate a una vexata quaestio qual’è quella del manto stradale urbano di Roma a margine di un evento così significativo non è realmente utile a nessuno, men che meno all’immagine che ne deriva a livello mediatico. Certo il problema sussiste, eccome, e a quanto pare ha effettivamente influenzato la parte finale dell’ultima tappa, nonostante sia altrettanto noto l’impegno profuso dall’amministrazione capitolina per “tappare” - scusate il gioco di verbo - perentoriamente tutto il tappabile. E allora la ragione dove sta? Chi ce l’ha in tasca? O crede di averla? Si vedrà. La querelle è nelle mani degli organismi competenti. Ma perché rovinare il profondo significato simbolico che è stato alla base di questa edizione del “Giro”, ovvero la partenza e l’arrivo da e in un due Città Sante, Gerusalemme e Roma. Cui prodest? Si tratta quindi in buona sostanza di schermaglie politiche che evidenziano tutte le difficoltà di una campagna elettorale mai chiusa? Se si, nulla hanno a che fare con la passione sportiva di noi semplici cittadini, spettatori, ancora una volta, di una gara tutta da correre. Che vinca il migliore, per il Paese. 

 

31/5/2018 

                         [Alessandro Quinti]


Attualità 

 

La grande crisi: luci e ombre di una - già - calda estate italiana. 

 

The day after dunque. Sì, è passata la nottata, ma tutto non sembra affatto più chiaro.

Quel che è certo è che siamo solo all’inizio di una calda estate per la politica e la società italiana - parafrasando, con tutte le differenze del caso, lo storico autunno caldo di cinquant’anni fa -.

La mente inevitabilmente vola ai tanti governi balneari della nostra storia repubblicana, quelli di Giovanni Leone per capirci. Ma ce ne fossero di big di quel calibro! Il presente purtroppo è ben altra cosa: oggi si discute sui social, a volte ci si improvvisa statisti spiccando voli pindarici con conseguenti atterraggi di fortuna.

D’altronde è anche vero che “chi non fa non falla”, e che “sbagliando si impara”, per carità, ma non è bello che questo ricada su una comunità in affanno da almeno dieci anni - quanti sono quelli che ci separano dalla incresciosa crisi del 2008, per usare un eufemismo, dalla quale ancora stentiamo a venir fuori - una comunità, dicevo, che ha visto susseguirsi governi non eletti, e che quando invece le elezioni si fanno non vede rappresentati e portati avanti i propri intendimenti, qualunque essi siano. E poi si fà un gran parlare di “scollamento dei cittadini dalla politica”, di astensionismo, e chi più ne ha più ne metta. Ma tant’è. Semplice meccanismo di causa-effetto.

E pensare che tra pochi giorni si vota veramente in molti Comuni del Paese ed in alcune realtà municipali della Capitale. A questo punto sarà maggiormente interessante seguirne gli esiti.

Per il momento, non possiamo che rimanere alla finestra ad osservare i movimenti tellurici, gli smottamenti, e chissà quanti rimescolamenti di carte, necessari alla messa in sicurezza di una transizione che non deve essere infinita. Quella finestra sul cortile di cinematografica memoria, che a volte però può riservare incredibili sorprese e stupefacenti illuminazioni! Buona visione! 

 

 29/5/2018 

      [Alessandro Quinti] 


Attualità

 

L’Italia al voto: un salto nel buio. 

 

Responsabilità o irresponsabilità? Coscienza o incoscienza? Prudenza o azzardo? Moderazione o estremismo? Parliamone, come si diceva una volta, quando il manuale Cencelli della politica italiana dettava le spartizioni con precisione chirurgica. Eh già, cari lettori, forse davvero “si stava meglio quando si stava peggio”, per continuare a rivolgere lo sguardo al passato. Ma in realtà non ce lo possiamo più permettere, sotto tanti profili, in primis sotto quello economico e sociale di un Paese sull’orlo di una grave crisi di nervi!

E allora “alle urne, alle urne!”. Ma sarà il caso? Oppure è meglio immaginare una “soave” mediazione - una “moral suasion” come dicono quelli bravi - in grado di riportare sul binario giusto un treno impazzito che ha deragliato da molti chilometri ma non ha ancora capito il perché, e soprattutto continua compulsivamente a negarlo davanti alla comunità internazionale, basita e forse anche un po’ imbarazzata nell’assistere all’ennesimo suicidio politico, istituzionale nonché mediatico del Bel Paese.

Quindi rispetto o irriverenza? Bon ton o scorrettezza? Lungimiranza o imperizia? Self control o bagarre?

Lascio a voi il finale, assolutamente aperto. Ognuno in cuor suo è libero di pensarlo e sognarlo a proprio modo. Ma nei fatti, solamente uno sguardo esperto rivolto questa volta al futuro dell’Italia e degli italiani di qualunque generazione - se un futuro ancora è possibile progettarlo - potrà tirarci fuori dalle sabbie mobili in cui siamo "scivolati" giocando a perdere tempo e occasioni che, come si sa, nella vita non ritornano mai.

Auguri Italia!         

 

28/5/2018 

[Alessandro Quinti]