Alessandro Blasetti: un autore a "tutto campo". 

Un viaggio nella vita e nella carriera di Alessandro Blasetti (1900-1987): il «padre fondatore del moderno cinema italiano». Il ritratto di un grande autore d' "altri tempi".

Nato a Roma il 3 luglio del 1900, uomo di cinema a tutto campo, Alessandro Blasetti ha rivelato un talento naturale in molti settori della pratica cinematografica, in cui ha saputo mettere a frutto una formazione teorica acquisita tra le fila dei periodici specializzati da lui stesso fondati e diretti nella seconda metà degli anni ‘20.

Se il debutto alla regia avviene senza alcuna preparazione tecnica - salvo qualche lezione appresa dai film sovietici di cui era avido spettatore - le realizzazioni successive lo promuovono autore, rivelandone una certa padronanza della macchina da presa, nonché il gusto della narrazione e l'estro per le ricostruzioni storiche. Dirige una trentina di lungometraggi e alcuni cortometraggi, è supervisore alla regia (per Quelli della montagna, 1943, di Aldo Vergano, e per Il testimone, 1946, di Pietro Germi) e interprete, nella parte di sé stesso, in tre film (Bellissima, 1951, di Luchino Visconti; Una vita difficile, 1961, di Dino Risi; Il mistero di Cinecittà, 1977, di Mario Ferrero); realizza alcune regie televisive e teatrali e insegna anche regia, recitazione e sceneggiatura all'Accademia di S. Cecilia (1932) e al Centro sperimentale di cinematografia, dove ha una cattedra, prima nel 1935, poi dal 1951 al 1956.

Discendente da una famiglia di avvocati, per parte di madre, e di artisti, per parte di padre, Blasetti si laurea in Giurisprudenza, probabilmente più per rispetto della tradizione familiare che per una vera vocazione. Fa per un brevissimo periodo anche l’impiegato di banca. Nel 1919 compare come attore generico nei film di Mario Caserini e di Lucio d'Ambra. Nel 1923-24 inizia l'attività giornalistica a "L'Impero" di Roma, dove si occupa, inizialmente, di teatro e di operetta, per poi inaugurare, dal 1925, la prima rubrica cinematografica mai apparsa su un quotidiano italiano, intitolata Lo schermo.

Fonda e dirige le riviste "Il mondo e lo schermo" (maggio-agosto 1926), "Lo schermo" (agosto 1926-marzo 1927), "Cinematografo" (marzo 1927-agosto 1931) e "Lo spettacolo d'Italia" (ottobre 1927-giugno 1928), dalle quali conduce, spalleggiato dai suoi numerosi e illustri collaboratori (Raffaello Matarazzo, Mario Serandrei, Umberto Barbaro, Aldo Vergano, Ferdinando Maria Poggioli, Francesco Pasinetti, Jacopo Comin, Aldo De Benedetti, Anton Giulio Bragaglia, Massimo Bontempelli e altri), un'energica battaglia in favore della 'rinascita' del cinema italiano. Nel 1929 crea dapprima una cooperativa di produzione, l'Augustus, e poi effettua, sotto il nuovo marchio, la sua prima regia. Nasce così Sole, film sulla bonifica delle paludi pontine, che è anche l'unico muto e post-sonorizzato della sua carriera. Pur riscuotendo i consensi della critica, il film non ha successo e la ditta, appena sorta, cessa di esistere.

Blasetti accetta allora di lavorare alla Cines di Stefano Pittaluga, il solo imprenditore che, pur essendo stato in passato il bersaglio di molte sue critiche, gli sembra in grado di rilanciare la produzione cinematografica nazionale alla vigilia dell'avvento del sonoro. Gira quindi Resurrectio, film che avrebbe dovuto essere il pioniere della neo-sperimentazione acustica, ma che viene preceduto, per ragioni meramente commerciali, da La canzone dell'amore (1930) di Gennaro Righelli (a tutti gli effetti riconosciuto come il primo fonofilm italiano), e distribuito posticipatamente nel 1931.

Prima e dopo di allora dirige Nerone (1930), con Ettore Petrolini, e Terra madre (1931), un elogio della vita contadina contrapposta a quella della metropoli urbana. Ma è essenzialmente durante la gestione di Emilio Cecchi, succeduto alla Cines dopo la prematura scomparsa di Pittaluga, che Blasetti realizza opere meno sperimentali e artisticamente più ambiziose. Preceduti e seguiti da Palio (1932), da Assisi (un documentario del 1932), da Il caso Haller (1933) e da L'impiegata di papà (1934), nascono, ad esempio, La tavola dei poveri (1932), tratto da un atto unico di Raffaele Viviani e sceneggiato in collaborazione con lo stesso Cecchi e con Mario Soldati, e 1860 (1933) che, considerato tra i suoi capolavori, ha il merito di raccontare l'epopea garibaldina in toni anticipatamente popolari e realistici.

Il biennio 1934-35 viene adombrato dal controverso rapporto tra il cineasta e il regime fascista che, nella figura di Luigi Freddi (appena nominato alla guida della Direzione generale per la cinematografia), nel 1934 gli commissiona un film sullo squadrismo nero, Vecchia guardia (1935), per poi contestarne l'assenza di trionfalismo e indurre successivamente Blasetti a realizzare Aldebaran (1935), definita, per ammissione dello stesso autore, un'opera di compromesso con il governo. E se, di fatto, la colossale ma fallimentare messa in scena dello spettacolo teatrale 18 BL, con il quale Blasetti vuole rievocare, nell'aprile del 1934, la Storia d'Italia dalla guerra al fascismo, non contribuisce a migliorare il rapporto tra il regista e il regime, le realizzazioni successive non nascondono l'intento dell'autore sia di evadere dalla realtà (attraverso commedie come Contessa di Parma, 1937, e Retroscena, 1939, interpretate da Elisa Cegani, sua compagna anche di vita, e circoscritte al mondo del calcio, della moda e della lirica), sia di spettacolarizzare la politica.

Interpretati da Gino Cervi e Amedeo Nazzari, Ettore Fieramosca (1938), Un'avventura di Salvator Rosa (1939), La corona di ferro (1941) e La cena delle beffe (1942), costituiscono la celebre tetralogia in costume con la quale Blasetti relega di fatto sullo sfondo la Storia e la politica, per lasciar affiorare, in toni fiabeschi e favolistici, tanto il crescente piacere della narrazione quanto il rinnovato gusto della raffigurazione. Dopo Ettore Fieramosca, film-cerniera e spartiacque fra il primo e il secondo Blasetti, è Quattro passi tra le nuvole (1942), nato da un soggetto di Cesare Zavattini e di Piero Tellini, a segnare la svolta verso il realismo e la quotidianità, sia dell'autore sia del suo attore, Gino Cervi, qui impegnato, dopo essere stato eroico cavaliere, combattente e re nelle opere precedenti, nel ruolo di un comune commesso viaggiatore in dolciumi.

Senza avere le tinte drammatiche di Ossessione (1943) di Luchino Visconti e I bambini ci guardano (1944) di Vittorio De Sica, e ai quali si è soliti associarlo in quanto parte del trittico pre-neorealista, il film di Blasetti predilige le tonalità amare e agrodolci dell'apologo onirico, che per molti aspetti torneranno anche nel successivo Nessuno torna indietro (1945), opera interamente coniugata al femminile e interpretata da un collettivo di attrici: Dina Sassoli, Mariella Lotti, Doris Duranti, Maria Mercader, Valentina Cortese, Maria Denis ed Elisa Cegani.

Nel dopoguerra Blasetti si specializza soprattutto nel genere commedia. Cronologicamente successivo al resistenziale Un giorno nella vita (1946) e al kolossal sulle persecuzioni cristiane nella Roma tardoimperiale, Fabiola (1949), Prima comunione (1950) si rivela una satira pungente nei riguardi di certe ipocrisie cattoliche e meschinità borghesi, qui racchiuse nel personaggio del commendator Carloni, nato dalla penna di Zavattini e interpretato da Aldo Fabrizi.

Nel 1952 e nel 1954 realizza Altri tempi (Zibaldone n. 1) e Tempi nostri (Zibaldone n. 2): due zibaldoni a episodi, ispirati ad alcuni racconti di fine Ottocento e di epoca contemporanea, in mezzo ai quali si colloca La fiammata, del 1952. E ancora, se nel 1957 tenta, con Amore e chiacchiere (Salviamo il panorama), di ridicolizzare il vano e retorico chiacchiericcio della classe politica nostrana, è con Peccato che sia una canaglia (1954) e La fortuna di essere donna (1955) che l'autore non solo costituisce la celebre coppia Sophia Loren-Marcello Mastroianni, ma ribadisce anche la sua predilezione per un cinema femminile nel quale le neo-dive, quelle “maggiorate fisiche” già assolte dall'arringa dell'avvocato De Sica in Il processo di Frine (episodio di Altri tempi), possono finalmente guadagnarsi un posto di rilievo e di traino nella narrazione cinematografica.

Fino al 1969 Blasetti firma ancora Europa di notte (1959), Io amo, tu ami… (1961), La lepre e la tartaruga (1962, episodio di Le quattro verità), Liolà (1964, da Luigi Pirandello), il satirico Io, io, io... e gli altri (1966), per ritornare alla favola popolare con La ragazza del bersagliere (1967) e all'epopea storica con Simón Bolívar (1969).

Si spegne a Roma il 1° febbraio del 1987, all’età di 86 anni.