Albert Schweitzer: un’icona, un personaggio storico, una sorta di leggenda edificante. Medico, scienziato, musicista, teologo, predicatore, filosofo, scrittore dai singolari risvolti profetici, Premio Nobel per la pace.
Albert Schweitzer (Kaysersberg, 14 gennaio 1875 - Lambaréné, 4 settembre 1965) rappresenta una delle più eminenti personalità del mondo intellettuale tedesco.
Egli si dedica inizialmente agli studi filosofici, teologici - è teologo protestante - e biblici. In seguito si interessa anche di musicologia.
Laureatosi in medicina rivolge completamente il suo impegno e tutte le sue energie alle missioni in Africa, nel Congo.
Schweitzer dunque: una personalità tanto generosa quanto dirompente, e tendenzialmente assolutista. Per tutta la vita sarebbe stato accusato di essere un autocrate: e fu vero, in sostanza. Ma un autocrate che sapeva sedurre, anche quando non lo voleva.
Gli altri lo affascinavano, e insieme lo irritavano e spaventavano. Era, in altre parole, un “caratteraccio”. Per questo sentiva che la libertà, nella solitudine, avrebbe potuto essere per lui la medicina migliore.
Sposato con l’infermiera Helene Bresslau, e padre di Rhena. Baffi scolpiti, gran naso, corpo sgraziato, “papillon”, camicia bianca consunta, scarponi e casco coloniale; l’eleganza innata del “dandy” di fine Ottocento anche nel folto della foresta equatoriale, ma senza evidente ostentazione. Ha indossato gli stessi vestiti per decenni.
Da giovane, durante le sue lezioni all’Università, stava ritto con le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pantaloni sempre un pò corti sulle caviglie, come un “orso gentile”.
Da vecchio, nell’ospedale della foresta, era sempre così, uguale. L’orso gentile avrebbe attraversato quasi un secolo, senza cambiare mai.
Numerose e pregevoli sono le sue opere: di musicologia, tra cui “Sèbastien Bach, le musicien poète”; sulle antichità cristiane, “Storia della ricerca di Gesù”, “La mistica di Paolo”; sulla storia della filosofia, “Die Religionphilosophie Kants”, “Kulturphilosophie”, nonché sul Congo.
Sono suoi inoltre molti altri scritti di carattere autobiografico.
Nel 1952 riceve il Premio Nobel per la pace e, grazie al riconoscimento economico, costruisce in Africa il villaggio dei lebbrosi, inaugurato nel 1954 con il nome di Village de la lumière (Villaggio della luce).
Il vecchio dottore non tornerà più a Kaysersberg, nell’Alta Alsazia, dove è nato il 14 gennaio 1875: morirà infatti nel suo villaggio africano, dove ha realizzato il progetto principale della sua straordinaria esistenza.
“Alle 23.30 del 4 settembre 1965 - ha scritto nel suo rapporto il medico di turno David Miller - egli è spirato serenamente, in pace ed in dignità, nell’ospedale che ha costruito ed amato”.
A mezzanotte, una folla di malati si era radunata intorno al bungalow. Avevano acceso le fiaccole, intonando Papa pour nous,
“Papà per noi”.